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30 Anni dall'uccisione di Mario Francese giornalista scomodo a cosa nostra

Mario Francese (Siracusa, 6 febbraio 1925 – Palermo, 26 gennaio 1979) è stato un giornalista italiano, assassinato dalla mafia.
Francese iniziò la carriera come telescriventista dell'Ansa, successivamente passò a giornalista e scrisse per il quotidiano "La Sicilia" di Catania. Di simpatie monarchiche, nel 1958 viene assunto all'ufficio stampa dell'assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana. Nel frattempo intraprese la collaborazione con "Il Giornale di Sicilia" di Palermo. Nel 1968 si licenzia dall'ufficio stampa per lavorare a pieno nel giornale dove si occupa della cronaca giudiziaria entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso.
Divenuto giornalista professionista si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste entrò profondamente nella analisi dell'organizzazione mafiosa, delle sue spaccatture, delle famiglie e dei capi specie del corleonese legato a Luciano Liggio e Totò Riina. Fu un fervente sostenitore dell'assassinio di mafia per il caso di Cosimo Cristina. La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo, davanti casa.
Per l'assassinio sono stati condannati:Totò Riina, Leoluca Bagarella (che sarebbe stato l'esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano . Le motivazioni della condanna nella sentenza d'appello furono: «Il movente dell' omicidio Francese e' sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle piu' complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Francese

Giornalisti uccisi da cosa nostra
La libertà dell'informazione e soprattutto di quell'informazione impegnata a far crescere la cultura della legalità e che, anche negli ultimi tempi, è sottoposta agli ennesimi tentativi di controllo e censura, ripropone il dilemma del ruolo reale che il giornalismo può assurgere nella lotta per la verità. Ed il caso di ricordare la storia di coloro i quali credendo fermamente nel ruolo del giornalismo nella lotta alla criminalità, nella lotta alle mafie, hanno immolato la propria vita. Sei i giornalisti caduti sotto il piombo della mafia. Sei storie diverse ma accomunate da un comune tragico destino e dalla comune esigenza di verità.
Dal primo omicidio che risale al lontano 5 maggio 1960 di
Cosimo Cristina,
http://it.wikipedia.org/wiki/Cosimo_Cristina
collaboratore con "L'Ora"di Palermo all'omicidio di Beppe Alfano, corrispondente del quotidiano di Catania"La Sicilia" avvenuto l'8 maggio 1993. Il cadavere di Cosimo Cristina venne trovato in una galleria ferroviaria ed archiviato quale"suicidio". Solo dopo alcuni anni il vicequestore Angelo Mangano, divenuto in seguito famoso per l'arresto di Luciano Liggio, volle indagare richiedendo l'esumazione del cadavere per supportare la tesi che non fosse suicidio ma omicidio: Un mistero fra i tanti misteri non risolti della Madonne di Sicilia. Pochi giorni prima di morire Cristina pubblicò un articolo su un periodico autoprodotto"Prospettive Siciliane" nel quale ricostruì un delitto di mafia avvenuto a Termini Imerese.
Il 16 settembre 1970 viene prelevato sotto casa a Palermo
Mauro De Mauro.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_De_Mauro
Da allora scomparve nel nulla. Cronista di razza, per conto del quotidiano del pomeriggio,
"L'Ora" di Palermo,
(un quotidiano nato intorno al 1900 a Palermo e chiuso dopo svariati attentati)

venne eliminato molto probabilmente perché aveva scoperto la verità sulla morte di Enrico Mattei, il presidente dell'Eni schiantatosi nel 1962 con il suo aereo nelle campagne di Bescapè, con una dinamica dai mille misteri. Aveva appena pubblicato una interessante inchiesta sui rapporti fra mafia e gruppi eversivi. Di recente alcuni pentiti di 'ndrangheta affermarono che il corpo del giornalista era stato seppellito sull'Aspromonte, ma non è stato possibile a tanti anni di distanza, verificarne l'attendibilità.
Il 9 maggio 1978, nello stesso giorno in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro, venne rinvenuto il corpo dilaniato da un esplosione di
Peppino Impastato,
http://it.wikipedia.org/wiki/Peppino_Impastato
che, pur non essendo iscritto all'albo dei giornalisti, iscrizione che gli venne tributata alla sua memoria, venne ucciso dalla mafia anche per la sua attività di denuncia condotta con "Radio Out".
Giuseppe Fava,
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fava
giornalista, venne assassinato il 5 gennaio 1984 nei pressi del Teatro Bellini di Catania. Aveva fondato "I Siciliani", un giornale aggressivo che attaccò frontalmente i grandi gestori degli appalti di Catania, in odor di mafia.
Il 25 settembre 1985 viene eliminato dai sicari della Camorra,
Giancarlo Siani
a soli ventisei anni. Corrispondente de "Il Mattino" di Napoli aveva denunciato alcuni traffici di Torre Annunziata. Per la sua morte sono stati condannati quali mandanti i boss Valentino Gionta e Angelo Nuvoletta.
L'8 gennaio 1993 cadeva sull'altare della lotta contro i poteri mafiosi
Beppe Alfano,
http://it.wikipedia.org/wiki/Beppe_Alfano
corrispondente del quotidiano"La Sicilia" da Barcellona Porto di Gozzo, un popoloso comune del parco dei Nebrodi in provincia di Messina. Ebbe il coraggio di pubblicare i lati oscuri dei grandi appalti pubblici dell'asse Messina– Palermo.

Tutti giornalisti uccisi

SENZA MINACCE PREVENTIVE,
SENZA PREMI NOBEL
SENZA GUADAGNI LETTERARI

a parte il caso di Impastato che essendo figlio di un mafioso ha goduto di "questo privilegio", prima di essere assassinato.
Perchè una cosa è sicura.
cosa nostra non mandava avvisi,
chi andava contro le sue regole veniva condannato e ucciso senza appello.

Un anno è passato

Un 2008 trascorso dopo un periodo lungo quasi 10anni, solo oggi, a posteriori, senza timori di provocare depressione in chi ci legge, ne parliamo liberamente.
Il decennio trascorso iniziava in sordina con la crisi provocata dall’introduzione dell’informatica nell’organizzazione della produzione di beni e servizi e con la conseguente abolizione dei ritmi temporali convenzionali fissati sulla base della fatica umana, e proseguiva, negli anni successivi, fra lo stordimento indotto dalla cosiddetta globalizzazione dei mercati e non solo, ma dell’intero sistema economico mondiale.
Quando poi, in base all’ipotesi di un tecnico informatico, alla vigilia del traghettamento dal vecchio al nuovo millennio si diffuse la bagarre per quel che passò nelle cronache mediatiche con la sintetica formula del “millennium bug” (s’ipotizzava, alcuni lo davano per certo, che nell’attimo in cui le lancette degli orologi sarebbero passate dall’anno 1000 all’anno 2000 sarebbe accaduta una catastrofica infezione di tutti i sistemi computerizzati in modo tale che la produzione di beni e servizi si sarebbe bloccata in tutto il mondo .
Conseguenza? L’impoverimento dell’umanità, che sarebbe tornata all’età della pietra, alle guerre tribali, e presto, molto presto, sarebbe stata la fine.
Non accadde nulla.
L’uomo aveva dimostrato di essere l’animale più intelligente, più forte, più ricco, più potente della terra, aveva annullato uno dei termini della formula einsteiniana della relatività, presto molto presto avrebbe conquistato il bene dell’immortalità.
Incominciava il decennio della corsa forsennata, della crescita permanente ed infinita, senza ostacoli ma senza obiettivi.
Le regole di mercato, del negozio, del sinallagma, del do ut des, vennero sovvertite. O piuttosto, poiché nel concetto di sovversione c’è il concetto di cambiamento, di sostituzione, esse, quelle regole, non vennero sostituite, al loro posto ci fu il nulla.
Cambiava il significato stesso di ricchezza. Non beni reali, non accumulo di segni monetari e nemmeno di segni cartacei. Ma segnali elettronici in continua modificazione .
Gli economisti , cioè quegli scienziati , che si sono assunti il compito di capire dove va il mondo dell’economia un attimo prima dell’uomo economico e dell’uomo politico e di suggerir loro il da farsi ,non ce l’hanno fatta .Non hanno capito in tempo che non esistevano più riferimenti scolastici o di dottrina. Adamo Smith ,Davide Ricardo, Engels , lo stesso Marx , sono morti e sepolti, ed anche John Mainard Keynes e Kenneth Galbraith .
Rimaneva la teoria della crescita permanente e la pratica del levarege: maggiore è il debito più grande è il credito. Più si ha credito più si è in grado di produrre beni per il soddisfacimento di bisogni inesistenti o fasulli a prezzi sempre più alti.
I governanti, eccetto che in Cina, permisero l’uso a piene mani del leverage, specie negli Stati Uniti. Il resto del mondo li imitò.
E siamo ai giorni nostri. Senza governance, le bolle speculative si sono susseguite. Dal barile di petrolio greggio, al rame, dalla tazzina di caffè, il chilo di pane o di pasta, i prezzi sono lievitati in modo ingiustificato.
Si è parlato di inflazione , si è detto che le famiglie degli impiegati e degli operai non riuscivano a soddisfare la domanda per soddisfare i bisogni primari oltre la terza settimana del mese; per un’improvvisa riduzione del potere d’acquisto, si disse. Ma non è così.
La verità è che la massa monetaria disponibile non è congrua rispetto al crescente speculativo ed incontrollato incremento dei prezzi al consumo.
Sarebbe stata deflazione se in questi ultimi mesi di quest’anno di svolta non fosse intervenuto un fenomeno imprevisto e forse imprevedibile: i prezzi scendono e il consumatore medio ha ricominciato a bere. I negozianti, che ne avevano limitato la costituzione per il timore di un crollo delle vendite , stanno, in questi giorni, ricostituendo le scorte di magazzino quasi del tutto prosciugate durante le giornate natalizie. Si attende la controprova alla fine dell’anno.
Che avverrà? Occorrerà che i governi tornino a governare l’economia. Occorrerà tornare alla sana competizione dell’economia reale. Bisognerà tornare a Keynes e Galbraith. Bisognerà tornare ai grandi investimenti pubblici sull’ammodernamento delle infrastrutture poste alla base delle civiltà contemporanee. Bisognerà impegnarsi, i singoli e i governi, per salvare, mentre siamo in tempo, un grande bellissimo Continente che muore: l’Africa.