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Regione Sicilia

La Regione Sicilia concede una pensione record all'ex presidente dell'agenzia dei Rifiuti, Felice Crosta: 1.369 euro al giorno. Un assegno pari a più del doppio dell'indennità del presidente della Repubblica. Ne usufruirà l'ex direttore dell'Agenzia dei rifiuti sciolta da poco

L'ultimo grandi commi dell'ente più generoso d'Italia, alla fine, si è portato a casa una pensione da favola: mezzo milione di euro l'anno. Ha lottato un paio d'anni, l'avvocato Felice Crosta, per un diritto che alla fine gli è stato riconosciuto dalla Corte dei Conti. Quei soldi gli spettano. Perché così ha stabilito una legge della Regione siciliana, approvata nella stagione d'oro del governatore Cuffaro. E l'amministrazione, proprio in questi giorni, si sta adeguando, aprendo la cassa. Mezzo milione. Cioè 41.600 euro al mese, 1.369 euro al giorno. Cifra lorda, sia chiaro. Ma destinata a fare impallidire persino capi di Stato, governatori di Bankitalia e giudici della Corte costituzionale: Giorgio Napolitano, per dire, ha un'indennità annua di circa 220 mila euro. Carlo Azeglio Ciampi, prima di insediarsi al Quirinale, si vide riconoscere da Palazzo Koch una pensione da 34 mila euro al mese.

Mentre Romano Vaccarella e Gustavo Zagrebelsky, ex presidenti della Consulta, percepiscono rispettivamente assegni di quiescenza pari a 25.097 e 21.332 euro mensili, secondo i dati rivelati da L'Espresso nel 2008. Il superburocrate siciliano, insomma, non si limita a doppiare i colleghi della Regione, tutti beneficiati dal vecchio sistema di calcolo retributivo, ma si candida a tutti gli effetti per la palma del dipendente pubblico più pagato d'Italia. Fra quelli in servizio e a riposo. Sfondando con decisione pure il tetto ai trattamenti previdenziali "obbligatori" posto nell'ormai lontano ottobre del 2003 dal consiglio dei ministri: 516 euro al giorno, il vecchio milione di lire. Crosta quasi triplica quella somma.

Il sultano dei servitori della pubblica amministrazione è un dirigente di lungo corso che negli ultimi due lustri ha gestito l'emergenza rifiuti in Sicilia. Un'emergenza che non è finita: gli Ato, gli organismi che dovevano assicurare il servizio di raccolta e smaltimento, hanno accumulato oltre un miliardo di debiti, la gara per i termovalorizzatori è stata annullata dall'Unione europea e i cassonetti stracolmi autorizzano ormai i paragoni con la Campania. Ma Crosta, prima da vicecommissario per l'emergenza poi da capo dell'agenzia siciliana per i rifiuti, in questi anni ha visto accrescere i propri compensi fino a 460 mila euro. Una cifra che il suo mentore, l'ex governatore Salvatore Cuffaro, gli accordò nel marzo 2006. Un'indennità che a Crosta è valsa come base pensionabile, in forza di un emendamento approvato dall'Assemblea regionale siciliana a fine 2005, cioè proprio alla vigilia della sua nomina: un caso? Chissà. Di certo, nella Regione dove oggi impera Raffaele Lombardo - che ha rotto con l'ex amico Cuffaro - oggi non si fanno salti di gioia.

Anche perché, oltre all'assegno mensile, l'ente dovrà riconoscere a Crosta circa un milione di arretrati e la somma relativa alla rideterminazione del Tfr. In un primo momento, l'amministrazione si era opposta alla liquidazione della maxi-pensione, riconoscendo "solo" 219 mila euro all'ex dirigente. Crosta si è però rivolto alla Corte dei Conti che ha attestato il suo diritto. La legge si può discutere. Ma va applicata. "Non si tratta certo di un regalo, io ho lavorato per 45 anni", si difende l'interessato. La Regione siciliana dai conti in rosso - due miliardi di deficit - non ha potuto che fare appello alla sentenza della magistratura contabile.
L'ultimo beneficio, peraltro, va a pesare su una spesa previdenziale già ragguardevole: oltre 560 milioni per pagare le pensioni di un esercito di ex dipendenti (14.917) più folto del personale in servizio. Tutti a carico del bilancio, perché la Regione siciliana è fra i pochi enti in Italia a non avere ancora attivato un fondo quiescenza, pur avendolo istituito per legge.

E continua a erogare baby-pensioni a tutti coloro che dimostrano di avere un parente infermo da accudire. Un'estensione tutta siciliana della legge 104 - anch'essa figlia di una norma varata dall'Ars - che ha premiato negli ultimi anni 700 impiegati andati a riposo con 25 anni di anzianità (ne bastano 20 per le donne). Ne ha approfittato anche l'ex segretario generale Pier Carmelo Russo. Che a dicembre, dopo il pensionamento, è stato promosso assessore regionale dal governatore Lombardo.

Sembra proprio che la previdenza non è tale, non ha niente di previdente, i nostri figli e nipoti si troveranno con un pugno di mosche in mano per colpa di un amministrazione a dir poco allegra.

Pentiti che non si pentono, Brusca.


Il pentito non sempre si pente specialmente quando è un'assassino efferato. Abbiamo Brusca, pentito "eccellente", che nella sua bella cella di Rebibbia continuava ad ordire ed amministrare i beni di "famiglia" e ad esercitare il suo oscuro potere. Gli investigatori hanno perquisito anche l'abitazione civile dove hanno rinvenuto 200.000 euro in contanti più altra documentazione al vaglio della magistratura. Brusca sostiene che i danari sono frutto di risparmi di una vita. Il Brusca rischia:"l'esclusione dal programma di protezione". Avete capito bene, "rischia", cioè non è sicuro che verrà estromesso all'istante. Brusca si è solamente macchiato di circa 100 omicidi fra cui :
Giudice Falcone
Giudice Chinnici
Di Matteo Giuseppe, 12 anni, strangolato e sciolto nell'acido.

Gli organismi creati da Falcone con tanti sacrifici, la DIA per esempio, sono pensate per offendere e non certmamente per difendersi.
Capite bene che uno di questi pentiti che dice verità miste a menzogne rischia di diventare credibile e diventa un "cavallo di troia" e cioè penetra all'interno delle istituzioni dando informazioni che possono distruggere la fazione a lui avversa.
Tutto come nel libro di Enzo Russo "uomo di rispetto".
http://www.lafeltrinelli.it/products/9788804405429/Uomo_di_rispetto/Enzo_Russo.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Brusca
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Il mio Segnalo

40 anni dalla scomparsa di De Mauro

Il caso
Mauro De Mauro, scomparso 1970, giornalista de L'Ora (PCI)
Morto un presidente, se ne fa un'altro!

Partecipanti in vita e deceduti:
Elda De Mauro, la moglie di Mauro intanto non si da pace. Mauro non ritorna a casa e a diciassette giorni dal suo rapimento ricorda un fatto lontano nel tempo, un particolare mai rivelato..... Il marito le aveva detto di avere scoperto che stava dietro l'omicidio di Mattei, diceva. "morto un presidente se ne fa un'altro"
Alle indagini si interessano tre investigatori, tutti uccisi tra il 1979 e il 1982: il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, il commissario della mobile Boris Giuliano e il comandante della legione dell'Arma Carlo Alberto dalla Chiesa. Le piste sono comunque divergenti. Secondo i carabinieri, De Mauro avrebbe scoperto un traffico di droga internazionale e per questo sarebbe stato eliminato dalla mafia. L'ipotesi viene sostenuta dal pentito Gaspare Mutolo, secondo cui De Mauro venne strangolato da killer di Stefano Bontate, il capo della "mafia perdente",

La polizia punta dritta alla "pista Mattei". Il cassetto della sua scrivania nella redazione dell'Ora di Palermo risulta forzato. Non si trovano più nastri magnetici, dal bloc-notes con gli appunti sono state strappate due pagine e mancano anche altri fogli più recenti che riguardano gli incontri avuti nella preparazione della sceneggiatura del film "Il caso Mattei" di Francesco Rosi. C'è un sospetto forte, un'ipotesi che non sarà mai approfondita. In quel nastro e in quei fogli potrebbe esserci la soluzione di due gialli: la morte di Enrico Mattei e la scomparsa di Mauro De Mauro

"Mauro mi disse che aveva per le mani un colpo straordinario, io sono stato testimone della sua vita eppure non c'è mai stato un poliziotto o un magistrato che abbia sentito il dovere di chiedermi qualcosa". E aveva aggiunto: "Pochi giorni prima di sparire avevo suggerito a Mauro di parlare con il procuratore Pietro Scaglione. Lui ci andò. Dopo pochi mesi uccisero anche Scaglione".

Guarrasi Vito,deceduto 1999, avvocato imprenditore
Oggi se a Palermo chiedi di Guarrasi ti rispondono, per l'appunto: "Cu è?". Originario di Alcamo, dove la sua famiglia possedeva i vigneti "Rapitalà", giovane aiutante del generale Giuseppe Castellano fu testimone dell'armistizio di Cassibile con gli anglo-americani. Nei decenni successivi, non c'è stato evento siciliano o nazionale, politico o economico, che non lo abbia visto, sempre a cavallo tra democristiani e comunisti, protagonista silente e tenebroso: dall'autonomia regionale al milazzismo, dall'assassinio di Enrico Mattei alla bancarotta di Michele Sindona, dal finto rapimento di Graziano Verzotto - veneto di Padova diventato viceré della Sicilia democristian-mafiosa come i veneti Silvio e Antonio Gava lo furono della Napoli democristian-camorrista - fino alla scomparsa di Mauro De Mauro. L'industria del sale, poi il petrolio, le esattorie delle imposte appaltate ai cugini Nino e Ignazio Salvo, le imprese irizzate o enizzate, la politica e gli affari furono, nel bene e più spesso nel male, il pane quotidiano dell'avvocato Guarrasi, che in Sicilia incarnò la "stanza di compensazione" dei poteri legali e illegali. Un Cuccia in salsa siciliana. Che non c'è più, come il cugino siculo-milanese di via Filodrammatici.

Graziano Verzotto, deceduto 2010, consigliere ente minerario siciliano senatore
Verzotto è legato a Mattei ma anche a De Mauro.
"Sì, Verzotto è l'uomo che incontra De Mauro e al quale fa tutta una serie di confidenze, fino all'ultimo incontro il 14 settembre due giorni prima della sua scomparsa, quando gli parla di una serie di cose, indicandogli Cefis come un possibile mandante del delitto Mattei. Verzotto, nella sua qualità di presidente dell'Ente minerario, è finanziatore di quell'agenzia che si chiama 'Roma informazioni' e che è collegata a 'Milano informazioni', che pubblicò il libro Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, scritto da tale Giorgio Steimetz, misteriosamente ritirato dagli scaffali, da cui Pasolini aveva tratto spunti per il suo Petrolio. Quindi De Mauro aveva capito probabilmente una fetta di verità relativa a Mattei e proprio per questo, secondo noi, è stato fatto scomparire".


Nino Buttafuoco, deceduto, consulente tributarista
Profondo conoscitore della Palermo bene e male, assisteva da consulente la famiglia Hugony
(Vito Guarrasi nasce ad Alcamo il 22 aprile del 1914. È figlio di un benestante proprietario terriero di Alcamo (da cui erediterà i vigneti del Rapitalà) e di una Hugony, una famiglia di ricchi commercianti palermitani.)

Bruno Contrada,in vita, dal 2007 libero per motivi di salute, Commissario PS e Sisde successivamente, condannato a 10 anni per concorso esterno alla mafia.
Fu il capo di Boris Giuliano

Cesare Terranova, ucciso 1979, magistrato
Ha seguito le indagini su De Mauro dopo la morte di Scaglione

Pietro Scaglione,ucciso 1971, magistrato
Accolse la presunta denuncia di De Mauro, almeno a sentire un collega giornalista.
(...[….]. Improvvisamente non ho più visto nessuno. Ciò avvenne ai primi del mese di novembre 1970. Successivamente ebbi occasione di incontrare in Procura Boris Giuliano e siccome i nostri rapporti erano molto cordiali, gli chiesi come procedevano le indagini sulla Vicenda De Mauro e come mai, improvvisamente nessuno pareva più interessarsi a tali investigazioni. Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che non ero a conoscenza della circostanza che a Villa Boscogrande, un night club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria palermitana, In tale riunione fu impartito l’ordine di “annacquare "le indagini. Giuliano non mi precisò se a tale riunione era egli stesso presente, ma mi raccontò l’episodio come un fatto certo e di cui avrei dovuto essere a conoscenza. Giuliano mi precisò anche che era presente il direttore dei servizi segreti, facendomene anche il nome: oggi non sono più certo se si trattasse di Miceli o di Santovito. [….]. Prima dell’interruzione delle indagini, l’istruttoria era giunta a focalizzare delle responsabilità molto elevate e noi prevedevamo che quando avessimo assunto i provvedimenti opportuni sarebbe successo un finimondo. Noi con la polizia ritenevamo, infatti, con assoluta certezza, che De Mauro era stato eliminato perché aveva scoperto qualcosa di eccezionalmente rilevante sulla morte di Enrico Mattei. Ritenevamo inoltre che Buttafuoco non fosse altro che l’ultimo anello di una catena che faceva capo ad Amintore Fanfani e alla sua corrente


Costa Gaetano ,ucciso 1980, magistrato
Gaetano Costa, Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, raccoglie la pesante eredità di fedelissimi servitori dello Stato : Boris Giuliano, Capo della Squadra Mobile di Palermo, e del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.


Boris Giuliano, ucciso 1979, capo squadra mobile
Giuliano ebbe infatti ad occuparsi di droga, parallelamente a Dalla Chiesa, sebbene non in relazione al caso De Mauro, ed arrivò a scoprire il nascondiglio (vuoto) del latitante Leoluca Bagarella, in via Pecori Giraldi a Palermo, nel quale si trovava un ingente quantitativo di stupefacenti. Cercando di inseguirlo attraverso i flussi di denaro collegati al traffico, si imbatté in un libretto al portatore contenente qualche centinaio di milioni di lire, che apparteneva a Michele Sindona, il quale sotto falsa identità si trovava in quel periodo in Sicilia avendo inscenato un falso rapimento. Dopo essersi incontrato con Giorgio Ambrosoli, che stava per liquidare la banca di Sindona (e che fu anch'egli poi ucciso, solo una decina di giorni prima di lui), pare che Giuliano abbia cercato di organizzare un'apposita indagine sul banchiere.
http://www.socialismolibertario.it/giorgio_boris_giuliano.htm
«Mio marito era un uomo molto riservato e parlava poco delle indagini che conduceva però da alcune sue affermazioni colsi che avrebbe voluto interrogare sul caso De Mauro il senatore Verzotto ma che non glielo consentirono. Il politico fu poi sentito direttamente dal questore dell'epoca». Lo ha detto Ines Leotta, vedova dell'ex capo della mobile di Palermo Boris Giuliano, ucciso dalla mafia nel '79,


Russo Giuseppe, ucciso 1977,t.colonnello CC
(Tenente colonnello dei carabinieri, era tra gli uomini di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa ed era il comandante del Nucleo Investigativo di Palermo quando fu assassinato dalla mafia mentre si occupava del caso Mattei. Quando venne ucciso era a Ficuzza, frazione di Corleone, dove stava trascorrendo le vacanze, e stava passeggiando con l'insegnante Filippo Costa, pure lui ucciso insieme a Russo per non lasciare testimoni dell'omicidi


Eugenio Cefis, deceduto 2004, Presidente ENI, consigliere AGIP, imprenditore.
Si parla di un uomo potentissimo.

Secondo alcune voci della cultura italiana, Cefis avrebbe avuto tuttavia, nella morte di Enrico Mattei, un ruolo oscuro. 
Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino) lo descrisse come un nemico che tramava nell'ombra per ottenere la presidenza dell'ENI e neutralizzare la politica fortemente indipendente di Mattei: 
è la tesi espressa nel volume intitolato Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972. 
Il libro di Steimetz fu subito ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo completamente dalla circolazione. 
In questo senso, Cefis avrebbe agito come rappresentante di poteri che volevano ricondurre la politica energetica italiana in orbita atlantica, con un comportamento coerente con i dettami delle multinazionali angloamericane del petrolio.

Godette dell’appoggio di Amintore Fanfani e dei leader DC del Triveneto. In campo finanziario, seppe come ottenere la fiducia di Enrico Cuccia, il banchiere al vertice di Mediobanca. 

L’istituto di via Filodrammatici vantava dei crediti di difficile riscossione nei confronti della Montedison, il colosso chimico nato nel 1966 dalla fusione della Montecatini con l'ex azienda elettrica Edison.

Cefis trovò il modo di togliere le castagne dal fuoco a Cuccia. Iniziò segretamente a comprare azioni della Montedison con i soldi dell’Eni e i dovuti appoggi politici a Roma. 
Cominciò così la sua scalata al gigante chimico, che si concluse nel 1971, quando Cefis abbandonò l'Eni e divenne presidente della stessa Montedison. Questa mossa sollevò molte polemiche: egli infatti aveva utilizzato il denaro dell'Eni (cioè denaro pubblico) per diventare presidente di una società privata.

Appena qualche mese prima anche Tommaso Buscetta aveva indicato Bontate come il “mandante” siciliano dell’ attentato a Enrico Mattei. 
Spiegò don Masino: “Le Sette Sorelle chiesero un favore a Cosa Nostra americana per far fuori Mattei e Cosa Nostra americana si rivolse a Bontate… si pensò di non usare armi da fuoco che avrebbero potuto rivelare subito la matrice mafiosa del fatto…”
De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontade che incaricò dell' operazione il suo vice Girolamo Teresi. La scomparsa di De Mauro non suscitò alcun commento all' interno di Cosa Nostra. Era stato "spento" un nostro nemico e si dette per scontato che il triumvirato che reggeva allora l' associazione in luogo della Commissione provinciale, formato da Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, avesse autorizzato l' azione.
Enrico Mattei, Pier Paolo Pasolini, Mauro De Mauro. Cosa c’è dietro la morte del presidente dell’Eni nei cieli di Bascapè? E di chi era la mano che uccise il poeta all’Idroscalo di Ostia: fu veramente il 17enne Giuseppe Pelosi o, come da lui stesso dichiarato in una recente intervista, “lo uccisero in 5, gente intoccabile”? E ancora, cosa aveva scoperto il giornalista Mauro De Mauro a proposito della morte di Mattei, tanto da diventare un pericolo per chi ne ordinò il sequestro e la morte?
Citazione "
Sul giornale “La Repubblica” vengono pubblicate le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, ex padrino di Altofonte, ai magistrati: “De Mauro è stato ucciso perché sapeva del golpe. Lo seppellimmo alla foce dell’Oreto”. Tali dichiarazioni sono similari a quelle fatte qualche anno prima dal pentito Gaspare Mutolo, ma allora venne vagliato senza trovare riscontri.

Le piste:
la polizia seguiva la pista Mattei,
i carabinieri quella del traffico di stupefacenti,
altre ipotesi:
golpe Borghese, estrema destra,

gli esecutori:
in tutte le piste portano alla cosa nostra siciliana, anche per le testimonianze dei pentiti a partire da Buscetta ed anche perchè l'aereo partì da Catania.

i mandanti:
Questo è il punto dolente,

la moglie di  De Mauro (Rai-2 la storia siamo noi) riferisce quanto detto dal marito prima di essere sequestrato. "morto un presidente se ne fa un altro".

Tutti i nomi sono abbastanza noti a parte l'avv. Vito Guarrasi, il senatore Graziano Verzotto,  Eugenio Cefis e Nino Buttafuoco.

Eugenio Cefis lontano cugino di Enrico Cuccia.

La notte che cambiò Palermo, addio mafia.

Era il 29 giugno 2004. Una notte di inizio estate. Un lieve vento di scirocco attraversava la città. Tre giovani in maglietta e jeans si aggiravano con circospezione tra le vie del centro, nel salotto bene: quello con le vetrine piene di glitter, lustrini e paillette. Dalle tasche tirarono fuori alcuni adesivi listati a lutto e in pochi minuti tappezzarono le vie tra il Politema e il Massimo con quella frase che sarà difficile dimenticare. "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". Uno schiaffo al finto perbenismo e alla coscienza dei cittadini. Così ha avuto inizio una straordinaria avventura. Così è nato Addiopizzo, il comitato cittadino contro il racket delle estorsioni. Dall'idea di quei tre ragazzi, la città o almeno parte di essa, ha cambiato volto e in quasi quattro anni gli iscritti sono almeno diecimila. L'idea dei volantini - racconta Ugo Fiorello, uno dei padri fondatori - è nata in una bella serata in cui abbondava il vino. Eravamo io, Vittorio e Francesco. Laureati di fresco, gli amici volevano cimentarsi nell'imprenditoria aprendo un piccolo pub. E' stato proprio quando hanno iniziato a ponderare le spese che uno di loro ha detto: "E' se ci chiedono il pizzo?". "Ognuno di noi - dice Vittorio Greco - ha ricevuto una formazione con una sensibilità abbastanza forte nei confronti dei problemi legati alla mafia". E così, dati alla mano, i tre amici hanno scoperto che almeno l'80% dei commercianti pagava il pizzo. L'idea provocatoria del volantino a lutto è stata una conseguenza naturale. A stamparli fu un tipografo ignaro di quello che sarebbe accaduto. Il 30 giugno la città si risveglio tra lo stupore della gente. Il prefetto Giosuè Marino riunì il comitato per la sicurezza con le più alte autorità delle forze dell'ordine. Tra le ipotesi c'era quella del gesto di un commerciante disperato, ma si pensò pure alla mafia. L'allora questore Francesco Cirillo, fece anche una richiesta alla magistratura per perseguire gli autori per "procurato allarme sociale". Qualche cittadino addirittura si sentì offeso da quella frase. Quella mattina, sotto choc c'erano anche i tre autori della manifestazione. "Non ci aspettavamo che succedesse tutto quel clamore - ricorda Francesco Calabrese. In una lettera spiegammo il perché attraverso i quotidiani". La prima uscita, anche se ancora sotto mentite spoglie, risale al 29 agosto successivo. L'anniversario per la morte di Libero Grassi, quell'anno fu denso di avvenimenti. Uno striscione per ogni cavalcavia della città e un altro commemorativo davanti al luogo dell'omicidio. Lì, quel giorno, qualche giornalista scorse tra i visi di alcuni giovani una partecipazione commossa tanto da avvicinarli e scambiare con loro qualche battuta. Da lì a poco i ragazzi di Addio pizzo che in quel momento contava una manciata di aderenti, sarebbero usciti allo scoperto con nomi e cognomi. Dall'arresto di Provenzano a quello dei Lo Piccolo e fino alla nascita della prima associazione antiracket, Addiopizzo è sempre presente. Diverse le iniziative volte ai cittadini che a tutt'oggi, sono fondamentalmente tre. In primis la diffusione del consumo critico con diecimila cittadini iscritti; poi c'è il settore delle scuole con progetti che coinvolgono attivamente gli studenti. La terza è quella volta a diffondere il pensiero critico attraverso temi connessi a mafia e legalità. Per intenderci, i giovani di Addiopizzo scavano nelle responsabilità politiche dei pubblici poteri: hanno chiesto di farsi da parte sia a Cuffaro che a Crisafulli. "Il nostro è un comitato apartitico. Per essere credibili noi è giusto che anche i poteri che ci rappresentano lo siano"
 http://www.addiopizzo.org/comunicati.asp
- I giovani possono cambiare il mondo
Il mio Segnalo






Quando l'economia va male per colpa della finanza!

“Le istituzioni finanziarie devono fare la loro parte nella distribuzione più equa degli oneri fiscali, almeno temporaneamente, per il periodo necessario a far riprendere quota all’economia e a stabilizzare la situazione finanziaria. La tassa imposta alle banche è necessaria, giusta ed efficace ed è utile agli interessi del paese e delle persone in condizioni particolarmente difficili". A pronunciare queste eretiche parole è il Primo Ministro ungherese Viktor Orban, leader del partito Fidesz, il “rinnegato” che giovedì scorso ha osato far approvare dal Parlamento magiaro una legge che impone alle banche ungheresi, alle compagnie assicurative e ad altri istituti finanziari una folle tassa sugli attivi (dello 0,45% per le banche e del 5,2% per le compagnie assicurative), destinata a durare per almeno tre anni a partire dalla fine del 2009. Il provvedimento, stando alle dichiarazioni di Orban, dovrebbe servire a contenere il deficit ungherese entro il 3,8% del PIL. Tristemente, la legislazione è stata pure approvata con una maggioranza che, se non stessimo parlando dell’Ungheria, potremmo definire bulgara: 301 voti favorevoli contro 12 contrari. Pressoché unanime, com’è comprensibile, lo sdegno che l’iniziativa ha suscitato presso i creditori internazionali dell’Ungheria, le istituzioni europee e il Fondo Monetario Internazionale. “Questo è populismo!”, si sono lagnati all’unisono i tapini defraudati. “Così si blocca la crescita del paese! Si mina la fiducia degli investitori! E poi, sul lungo periodo, è una misura che si rivelerà poco utile al contenimento del deficit”. Sante parole. Un paese, come è noto, non è composto dai suoi cittadini, dalle loro esigenze, dalle loro iniziative commerciali e culturali, ma solo ed esclusivamente dai suoi operatori finanziari, astro sfolgorante intorno al quale deve ruotare e di fronte al quale deve essere pronta ad annullarsi ogni residua velleità nazionale. Quando uno Stato ha problemi di budget, come è di lapalissiana evidenza, l’unica misura possibile è quella di smantellare scuole e ospedali, tagliare i finanziamenti alle forze di sicurezza, ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici, fare il deserto delle strutture di assistenza, in modo che gli operatori finanziari e le società da essi controllate possano sostituirsi alle attività pubbliche così rase al suolo o acquistare ciò che ne resta per un boccone di pane, ricavandone enormi profitti con poca spesa. Ad assicurarsi che tutto si svolga secondo queste regole è il FMI, esattore e cane da guardia delle istituzioni finanziarie, che minaccia ritorsioni economiche e sospensioni di prestiti ogni volta che un paese prova a smarcarsi da questo meccanismo suicida. E’ il metodo sperimentato con successo in Italia dopo la stagione di Mani Pulite, che spazzò via la vecchia classe politica legata alla concezione pubblica della fornitura dei servizi per sostituirla con un branco di avvoltoi ammaestrati che diroccarono e svendettero a prezzi di liquidazione quasi ogni struttura che garantisse sicurezza e autonomia alla nazione. Per essere più certi che il marchingegno funzioni, sono le stesse banche centrali a creare i problemi di budget che metteranno in moto lo smantellamento e la svendita, vendendo agli stati il denaro di cui hanno bisogno in cambio dell’emissione di titoli del debito pubblico gravati da interesse, che produrranno di anno in anno un indebitamento esponenziale. Si tratta di una strategia di comprovata efficienza, i cui capisaldi nessun governo sano di mente si sognerebbe di mettere in discussione. Ogni tanto, però, salta fuori dal cappello un primo ministro un po’ folle come Orban che ha l’ardire di chiedere alle banche la restituzione di una piccola frazione del maltolto e di rispondere in malo modo al FMI, invitandolo a cavarsi fuori dai maro dalle questioni di politica nazionale. All’Ungheria era stato imposto dal FMI l’obiettivo del 3,8% del rapporto deficit/PIL entro la fine di quest’anno. Detto fatto, il governo ha deciso di tassare le banche per raggiungere tale obiettivo senza affamare e straziare ulteriormente i cittadini, già provati da cinque lunghi anni di austerity.“Il nostro accordo non diceva nulla sui metodi che avremmo dovuto adottare per raggiungere questo obiettivo”, ha detto Orban in un incontro con una schiumante Angela Merkel. “La scelta degli strumenti e dei tempi della loro applicazione attiene alla nostra esclusiva responsabilità nazionale. […] Con queste misure, l’Ungheria avrà entro la fine dell’anno un deficit non superiore al 3,8%. E con questo il nostro rapporto con il FMI è concluso. Da quel momento in poi, non dovremo più confrontarci con il FMI, ma con l’Unione Europea”.  Scelta degli strumenti? Responsabilità nazionale? Chiudere i rapporti con il FMI? Ma cosa dice questo pazzo? Il poveretto è convinto di poter agire nell’interesse della nazione senza pagare dazio agli organi di controllo internazionali, che utilizzano le attività finanziarie e i ricatti economici come un randello per tenere in riga i paesi europei sotto l’occhio vigile delle strategie geopolitiche statunitensi. Il governo ungherese ha perfino osato approvare un provvedimento che pone un tetto all’entità dei salari dei dipendenti pubblici, compreso quello dei dirigenti della Banca Nazionale d’Ungheria e del Consiglio per le Politiche Monetarie, facendo inviperire il governatore della banca centrale, Andras Simor, che si è visto tagliare del 75% la principesca retribuzione di 8 milioni di fiorini mensili (circa 27.000 euro, 40 volte il salario medio di un lavoratore ungherese) ed ha iniziato per questo ad urlare alla lesa indipendenza dell’istituzione bancaria. Anziché infierire su chi produce ricchezza materiale per il paese, come fanno tutti i governi perbene, il governo ungherese ha ridotto di 9 punti (dal 19 al 10%) la tassazione per le aziende con un fatturato annuo inferiore ai 500 milioni di fiorini (1,7 milioni di euro), per di più con effetto retroattivo al 1° luglio. Si è spinto fino al punto di vietare i mutui in valuta straniera (euro e franchi svizzeri) che facevano concorrenza ai mutui in valuta nazionale, creavano un’impennata del debito verso l’estero e incrementavano l’esposizione del mercato immobiliare interno all’alea dei rapporti di cambio valutario. Tutto questo ha l’aspetto inquietante di qualcosa di cui in Europa non si sentiva più da tempo né l’odore né il sapore: sovranità nazionale! Politiche elaborate nell’interesse della crescita del paese anziché per compiacere i potentati bancari internazionali! Deficit ripianati sottraendo risorse alle improduttive e velenose attività finanziarie anziché ai servizi e alla ricchezza reale della nazione. Di questo passo il governo ungherese potrebbe prima o poi mettersi in testa, che so, di progettare una propria politica del lavoro, adottare programmi pensionistici potenziati, perfino stampare esso stesso moneta anziché prenderla a prestito dalla banca centrale! E facendo questo, potrebbe fungere da esempio per altri paesi della prigione monetaria europea, che pretenderebbero di adottare gli stessi sistemi!  Dove andremo a finire, signora mia? Per questo motivo, i secondini del carcere comunitario sono corsi immediatamente ai ripari. Dapprima hanno scatenato le opportune campagne di stampa anti ungheresi sugli appositi organi d’informazione economica del regime, facendo strepitare ad insigni editorialisti apocalittiche previsioni su crolli degli investimenti e blocco della crescita (crescita di che??). La BCE si è mostrata fortemente risentita per la temerarietà con cui le decisioni sul tetto ai salari dei banchieri sono state prese senza prima attendere il suo ponderato parere, che sarebbe stato ovviamente del tutto spassionato e scevro da qualsivoglia sospetto di connivenza con gli omologhi della BNU. Andras Simor, disponendosi eroicamente al martirio, ha minacciato le proprie dimissioni da governatore della BNU, prospettiva dinanzi alla quale il governo di Orban non ha palesato eccessiva disperazione. Il capo dell’austriaca Raiffeisenzentralbank (RZB), Walter Rothensteiner (chissà perché tutti i banchieri hanno cognomi così?), ha avvertito a denti stretti che “l’Ungheria sta giocando col fuoco”, sottolineando il proprio disappunto nei confronti di un paese così folle da tassare i propri istituti bancari anziché tappare le loro falle con il denaro dei cittadini. Come si può fare una cosa così brutta? Perché gli ungheresi non prendono esempio dall’Austria, che nel solo 2009 ha regalato alle sue banche 6 miliardi di euro per colmare i loro crateri di bilancio e naturalmente non ha intenzione di fermarsi qui? Rothensteiner ha “consigliato” alle banche ungheresi di recuperare il denaro della tassazione imponendo ai loro clienti costi di gestione più alti e altri oneri vari ed eventuali. Gli ha fatto eco Wilibald Cernko, amministratore delegato di Bank Austria, minacciando tra i 5.000 e i 10.000 licenziamenti nel settore della finanza austriaca. Il FMI, per bocca del suo direttore Strass Khan, ha minacciato di congelare il prestito di oltre 20 miliardi di euro con cui si proponeva di “aiutare” la nazione magiara a ripianare i propri debiti, in cambio della prona accettazione dei regolamenti comunitari – che equivalgono, come noi tutti dovremmo ormai aver capito, ad una completa e definitiva rinuncia ad ogni forma di sovranità nazionale. Alla fine, non riuscendo ad ottenere alcuna marcia indietro, il FMI e l’UE hanno diramato un comunicato stampa in cui notificavano all’universo mondo di aver rotto ogni trattativa col governo di Budapest poiché quest’ultimo avrebbe rinunciato a rispettare i programmi d’austerità promessi negli accordi. Cosa non vera, come si è visto, dato che le misure adottate dal governo Orban potrebbero risanare i deficit di bilancio molto più efficacemente di qualunque forma di prestito a strozzo offerta dal FMI. Chissà se questo accerchiamento riuscirà a far desistere il governo ungherese dai propri più che auspicabili propositi? Va tenuto presente che l’Ungheria è fra i paesi dell’ex oltrecortina quello che tradizionalmente destina le più ampie risorse all’investimento nel settore pubblico e nei servizi, e questo non solo per il suo passato socialista, ma perché i governi, dovendo tenere a freno la disoccupazione e la destabilizzazione economica esplose dopo l’apertura al capitalismo, hanno ritenuto opportuno potenziare la domanda interna con appropriati interventi dello stato e sopperire con il lavoro nelle amministrazioni pubbliche all’assenza di livelli occupazionali accettabili nel privato. Le misure “lacrime e sangue” che i governi hanno dovuto imporre negli ultimi cinque anni per entrare di diritto nell’esclusivo club europeo sono dunque non solo malviste dagli elettori, ma anche estranee ad una tradizione di forte presenza dello Stato nella vita quotidiana che gli ungheresi non sono preparati ad abbandonare; soprattutto se la rinuncia non comporta altro che un trasferimento di risorse dal parassitismo burocratico di stato al vampirismo finanziario delle istituzioni bancarie, mille volte più voraci e prepotenti delle antiche istituzioni socialiste, mille volte più inefficienti e incapaci di garantire ai cittadini, in cambio dei sacrifici senza fine a cui li costringono, altro che sacrifici ed indebitamento ulteriore.
Il mio Segnalo

LA RIVOLTA D'UNGHERIA

Gianluca Freda (24/07/2010)

Cassarà, Ninni per gli amici.

Oggi ricorre l'anniversario dell'assassinio di Ninni Cassarà, 6/8/1985.

Ebbe tanti meriti. Suo l'arresto di Salvo, senza prove sufficienti, contro il parere di Falcone.
Successivamente, dopo la morte di Cassarà, Falcone raccolse prove tali da spiccare il mandato di cattura per Salvo. 
Lo ricordo come un ragazzo spinto da forti ideali e motivato contro la mafia, tanto da restarne vittima, come tutti quelli che hanno fatto qualcosa di realmente valido per la lotta alla mafia, almeno in quel periodo. 
Insieme a lui morì l'agente Antiochia e Natale Mondo fu ucciso successivamente, facevano parte della sua scorta. 
Cassarà era discepolo, come Falcone del Consigliere Rocco Chinnici, barbaramente assassinato nel 1983 con un attentato dinamitardo davanti lo stabile ove aveva l'abitazione. 
L'attentato, fra  quelli provocati dalla mafia delle coppole, come la definiscono oggi, dovrebbe fare riflettere ai tanti che parlano di mafia dai colletti bianchi! 

Le stragi ci sono sempre state è sono sempre state provocate dai capi mafia pro-tempora ai quali non andava giù che li si combattesse con dei risultati. 
Il punto è che, o sei con loro, o contro di loro, non ci sono mezze misure. 
Che ci siano sempre state collusioni esterne a partire da soggetti politici e finire all'usciere di un pubblico ufficio, questo è ovvio come è normale che non tutti si nasce eroi e che anche la paura giochi un ruolo determinante nel farsi corrompere.
Il mio Segnalo

Un legame tra Capaci e Via D'Amelio.

Verbali “aggiustati”, indagini su cui grava l’ombra del depistaggio, veri e falsi pentiti e undici ergastoli definitivi che un probabile giudizio di revisione potrebbe mettere in discussione, come ammette implicitamente lo stesso Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari quando afferma che sette persone condannate “probabilmente non hanno nulla a che vedere con la strage”. Sullo scenario di via D’Amelio, teatro dell’attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti di scorta, si affacciano nuovi personaggi che potrebbero riscrivere la storia dell’eccidio. A cominciare da Gaspare Spatuzza, che si é autoaccusato della strage, le cui dichiarazioni vengono definite da Lari “attendibilissime anche se non gli hanno riconosciuto il programma di protezione”. E investigatori sospettati di avere estorto confessioni e accuse.
Ma sulla scena tornano anche a comparire vecchi protagonisti al centro di roventi polemiche. Come Vincenzo Scarantino, spacciatore del quartiere palermitano Guadagna, che con le sue rivelazioni ha decretato la condanna al carcere a vita di undici persone, l’uomo delle ritrattazioni clamorose. Mai preso sul serio dai legali di alcuni imputati, fu ritenuto credibile, allora, dalla Procura di Caltanissetta che sulla sua verità ha istruito due processi che hanno portato a decine di ergastoli.(leggi)

una storia infinita come quella della mafia, ma perché sulla morte del giudice Borsellino c'è tutto questo mistero e nessuno su quella del giudice Falcone ?
Verosimilmente Falcone è stato, grazie al pentito Buscetta, il solo Giudice nella storia della Repubblica a colpire duramente cosa nostra, vedi maxi processo di Palermo. Quando venne emessa la sentenza il compianto Giudice Borsellino si trovava a Marsala dove si era fatto trasferire, per motivi che ancora oggi devono essere chiariti. Pertanto, quali sarebbero gli sgarbi perpetrati da Borsellino nei confronti di mafia o altri, non ci è dato a sapere, sappiamo bene quali sono stati quelli di Falcone, vedi processi e condanne. La motivazione più naturale è il maxi processo, ma allora, perché tutti questi pentiti e misteri su Borsellino e nessuno su Falcone?. Ricordo che passarono solo 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di via d'Amelio quindi sarebbe normale che ci sia un filo conduttore, un legame.
 Se è così come sembra perché non ci sono dichiarazioni per la morte di Falcone? A questa domanda bisogna dare una risposta, altrimenti tutto l'impianto "Spatuzza, Ciancimino jr, Caltanissetta" diventa poco probabile.
Agende rosse, borse sparite, ma che senso ha, le indagini del Giudice affidate ad agente e altri documenti poco probabili. Non dico che l'agenda non ci fosse penso solo che un'agenda serve a scrivere indirizzi, telefoni, appuntamenti ed altri appunti di rilievo relativo. Il motivo per cui non venne trovata è che probabilmente venne presa dai "servizi", come sembra logico.
Il mio Segnalo



Pentiti di mafia veri o fasulli?

Verbali "aggiustati", indagini su cui grava l'ombra del depistaggio, veri e falsi pentiti. In altre parole è lo Stato che deve utilizzare i collaboratori di giustizia per smantellare le centrali della criminalità e non il contrario. Il rischio, altrimenti, è che si rendano dichiarazioni al solo scopo di realizzare oscure manovre di potere o di ottenere indebitamente i benefici previsti dalla legge.
Ed è partita da un verbale del '94 visibilmente “taroccato”. Qualcuno tentò di indurre Scarantino a mentire? E chi?, si chiedono i magistrati che, proprio sul presunto depistaggio hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni poliziotti del pool Falcone-Borsellino.....
Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere le mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto
 La Dia nasce come organismo di offesa, quindi impreparata ad eventuale attacco dall'interno. Per essere più chiaro, infiltrati, pentiti apposta per mettere in difficoltà clan di opposte fazioni o altra gente, una specie di cavallo di troia, come scritto da un noto autore di romanzi di mafia.
La gestione dei pentiti fino al maxi-processo Falcone è stata lineare, per le indagini su Borsellino cominciano i
misteri, le agende, servizi deviati, etc, come se fino a Falcone tutto fosse scontato, le responsabilità ben definite e improvvisamente tutto diventa misterioso.
Di misteri ancora irrisolti c'è ne stanno alcuni, questo ad esempio: il caso De Mauro - Mattei 

E se non bastasse, attenzione anche al protagonismo! Sciascia, insegna,  la mafia fa vendere di tutto e può arricchire o impoverire sia le tasche che le carriere.  

http://www.gds.it/gds/sezioni/cronache/dettaglio/articolo/gdsid/117518/



LaOccidentale
http://www.scudit.net/mdfalconeprof.htm


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Ancora baby pensioni agli amici degli amici!

Sempre le stesse cose sempre trucchetti per dare a pochi e togliere a molti! In un momento in cui si chiedono sacrifici ai cittadini si continua a sperperare pubblico denaro che sarebbe meglio impiegato per i molteplici problemi di questa città di Palermo, non ultimo quello dell'immondizia che in piena stagione turistica presenta il vero volto di questa città abbandonata a se stessa.
Prima o poi il cittadino elettore imparerà ad esprimere un voto valido per cercare di estirpare dal parlamento gente che fa solo i propri comodi e quelli degli amici.
Grazie ad una norma valida solo per i dipendenti della Regione, Pier Carmelo Russo si ritira dalla vita lavorativa ed entra nella giunta di Lombardo. “Ma devolve il suo compenso in beneficenza”, fanno sapere le istituzioni. Le vicende che riguardano l’Assemblea Regionale Siciliana non finiscono i stupire. Alla polemica sul piano politico, infatti, si aggiunge quella sul piano personale, rivolta ad una delle new entry nell'amministrazione di Raffaele Lombardo. Nell’occhio del ciclone finisce stavolta Pier Carmelo Russo, nuovo assessore, che, insieme ad un altro tecnico vicino al centrosinistra, Mario Centorrino entra a far parte della compagine di governo. I due unici esclusi dalla giunta (tutti gli altri assessori sono stati riconfermati), sono Mario Milone Nino Beninati, guardacaso i due unici rappresentanti del Pdl ufficiale, quello che fa capo a Renato Schifani ed Angelino Alfano, oggi ostile al presidente che ha contribuito a far eleggere e ha sostenuto finora e in netta contrapposizione al gruppoPdl-Sicilia, composto dai 15 consiglieri regionali dissidenti capeggiati da Gianfranco Micciché che, invece, danno oggi il loro pieno appoggio a Lombardo (..segue)
Questi "amministratori" sono quelli che dovrebbero chiedere quattrini allo Stato centrale e all' UE...ma con quale faccia?
           Boom di baby-pensioni in Sicilia     
ogni anno sono almeno duecentoMentre l'Europa preme per alzare l'età pensionabile a 70 anni in Sicilia quasi ogni giorno c'è un dipendente della Regione che va via dal lavoro anche a 45 anni e con una pensione pressoché piena. Tutto grazie alla legge 104 - modificata dall'Ars - che nell'Isola consente di andare in pensione per accudire un parente "non autosufficiente". Il risultato? Tra il 2007 e il 2009 il numero dei prepensionamenti è raddoppiato, arrivando a 200 l'anno  (..segue)
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Sacrifici, tasse, manovre, tagli ....ma non si doveva dimezzare il numero dei parlamentari e senatori italiani?


Sacrifici per molti ma non per tutti...
a quando il dimezzamento del numero dei parlamentari e dei senatori?
Si parla, si fanno dichiarazione di intenti ma tutto resta invariato.
La credibilità la si procura anche e particolarmente con l'esempio, come fa il buon padre di famiglia.

Anche la Lega che figura! Come è finita l'abolizione delle provincie?
( cifre in Euro:)

  •  Italia                  144.084,36
  • Austria               106.583,40
  • Olanda                 86.125,56
  • Germania             84.108,00
  • Irlanda                 82.065,96
  • Gran Bretagna      81.600.00
  • Belgio                  72.017,52
  • Danimarca           69.264,00
  • Grecia                 68.575.00
  • Lussemburgo       66.432,60
  • Francia                62.779,44
  • Finlandia              59.640,00
  • Svezia                  57.000,00
  • Slovenia               50.400,00
  • Cipro                   48.960,00
  • Portogallo            41.387,64
  • Spagna                35.051,90


E' paradossale che vengano chiesti sacrifici da chi è al primo posto per sprechi.

Gli USA, con più di 300 milioni di abitanti, ha 535 deputati e 100 senatori contro i 630 e 315 (più i 7 senatori a vita) dell'Italia. Il rapporto fra deputati e cittadini è di 1:703.050, mentre da noi è di 1:95.325. " link
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Violante: pm moralisti Sulla giustizia premier anche riformatore

La «legalità violata» L' accusa: spesso gli inquirenti cercano reati, anziché prove di reati di cui hanno avuto notizia...
Esiste un' esigenza di riforme non colta dalla sinistra, che è rimasta a guardare denunciando «la calata di nuovi Unni» senza chiedersi se quegli Unni, sebbene «un po' barbari», non fossero «anche un po' riformatori»...Pure le toghe hanno avuto e hanno le loro responsabilità, denuncia Violante al termine della sua rilettura dei fatti dell' ultimo quindicennio destinata a far discutere politici e magistrati. Perché si sono lasciate attrarre dalle «luci abbaglianti del moralismo giuridico», e si sono abbandonate (almeno una «parte rilevante» di esse) a un malinteso controllo di legalità. Considerato non tanto «ricostruzione della legalità violata», bensì «verifica che la legalità non sia stata per caso violata»: pubblici ministeri alla ricerca del reato anziché della prova di un reato di cui hanno avuto notizia, come invece dovrebbe essere.
Parole di un Magistrato che è stato presidente della commissione antimafia che veniva indicato come il capo del «partito delle toghe». Uno che tirava le fila del presunto complotto politico-mediatico-giudiziario contro la classe dirigente dell' epoca,
Parole che dovrebbero proporre una profonda riflessione .

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Lacrime e sangue


Capita a Palermo, ma potrebbe capitare in una qualsiasi grande città in Italia. 
Consiglieri ma pure impiegati e il comune li paga due volte.
Oltre al gettone, quasi due milioni di rimborsi alle aziende per i permessi retribuiti.
C'è il dipendente Amia (in amministrazione controllata) che costa più di 22 mila euro e gli impiegati di banca per i quali il Comune di Palermo versa anche 34 mila euro. Nessuno dei consiglieri pensa però all'aspettativa.
Lavori meno guadagni il doppio. 
Basta diventare consiglieri comunali. Che ne dite di oltre tremila euro lordi in aggiunta al vostro normale stipendio e senza un filo di fatica in più? Belli no? L'obiettivo è difficile, ma non impossibile. Basta solo farsi eleggere al Comune. Et voilà, il gioco, anzi il businnes, è fatto. A volere dare un consiglio un pò truffaldino, vi suggerisco un trucco nel caso in cui non abbiate un lavoro e siete diventati consiglieri. Rivolgetevi ad un'imprenditore amico o a una coop e vi fate assumere. Naturalmente con una busta paga "pesante", altrimenti non c'è gusto. Tanto l'azienda continuerà a pagarvi, tanto rimborsa il "comune". Questa pratica, non è stato accertato che sia in funzione, ma come impedirla?
Per comprendere bene il meccanismo attraverso cui nutrirsi da due mangiatoie, bisogna prima dare una sbirciatina alla legge che prevede il rimborso da parte del comune alle aziende private per le giornate non lavorate dei dipendenti impegnati nelle attività consiliari. Uno pensa che si tratti di 5-10 assenze al mese. Invece no. Gli inquilini del comune risultano perennemente assenti "giustificati" dal lavoro perchè impegnati in attività di commissione o di consiglio tutto l'anno.Il risultato? Si pappano per intero lo stipendio dell'azienda o dell'ente per i quali (non) prestano servizio (tranne qualche eccezione) e in aggiunta intascano i gettoni di presenza. 156 euro lordi a seduta per un massimo di 21 sedute al mese stabilite per legge: totale 3.276 euro. In teoria potrebbero chiedere l'aspettativa dal servizio e in questo caso percepirebbero solo il gettone di presenza. Ma mica sono scemi.
Benvenuti nella giungla dei rimborsi e dei gettoni di presenza al comune. Una girandola di cifre che pesa sulle casse comunali (dunque sulle nostre tasche) per la bellezza di 2 milioni e 974 mila euro l'anno (fonte ultimo Peg approvato). 
Non considerando quelle macchine mangiasoldi dei consigli di circoscrizione che meritano un discorso a parte.

           spese sostenute nel 2010                                                      euro
  • Gettoni presenza consiglieri comunali                               2.024.000
  • Rimborso per assenza di servizio consiglieri comunali.           950.000
  • Gettoni presenze consiglieri di circoscrizione                      1.710.000
  • Rimborso per assenze di servizio consiglieri di circoscrizione.  850.000
Pensate che queste cosa accadano solo a Palermo? Cercate di informarvi sui conti del vostro Comune. Chissà...magari scoprite le stesse cose!

Quando vi dicono che saranno lacrime e sangue.....non parlano per loro, ovviamente, loro continuano ad aumentarsi stipendi (?) e compensi vari! E' morale tutto questo, è dignitoso?