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Problema giustizia.

«Non possiamo andare avanti così ». È secco il monito del Primo presidente della Corte di cassazione, Vincenzo Carbone, che oggi nella relazione di apertura dell'anno giudiziario, nell'aula Magna del "Palazzaccio", alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, mette in evidenza come il ritardo della Giustizia italiana sia un danno per l'intero sistema-Paese. La classifica internazionale sui tempi processuali contenuta nel rapporto Doing Business che la Banca Mondiale redige per fornire indicazioni alle imprese sui Paesi in cui è più vantaggioso investire, infatti, rivela una posizione dell'Italia davvero penalizzante. Si trova al 156° posto su 181 Paesi nel Mondo quanto a efficienza della giustizia. Addirittura viene dopo Angola, Gabon, Guinea, São Tome e prima di Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Trinidad. «La crisi della Giustizia - spiega Carbone - ha conseguenze che vanno ben al di là dei costi e degli sprechi di un servizio inefficiente e si estendono alla fiducia dei cittadini, alla credibilità delle istituzioni democratiche, allo sviluppo e alla competitività del Paese».
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Il sistema giudiziario italiano è agli ultimi posti del mondo per efficienza: secondo il rapporto “Doing Business 2009″ l’Italia è al 156° posto su 181 paesi presi in considerazione.

Si tratta di un aspetto di primaria importanza anche dal punto di vista economico, perché se non c’è una giustizia efficiente, in pratica manca la certezza del diritto, e quindi diventa difficile “fare affari” nel senso più generale. Il posizionamento dell’Italia è significativo, perché il parametro di riferimento per la classifica è il tempo necessario a “consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto “: un classico problema di business dunque.
Ed è difficile non collegare la posizione dell’Italia anche alla pessima produttività del nostro Paese, secondo i dati OCSE, anche perché è verosimile che a subire il maggior danno da contenziosi che si trascinano per tempi geologici, siano proprio le aziende più piccole e più giovani (che solitamente sono anche le più innovative), che hanno minori risorse per affrontare risorse di questo tipo. Senza contare il fatto che le imprese estere, soprattutto quelle non enormi, ci pensano “un po’ di più” prima di portare parte del loro business in Italia.

Il problema è che in Italia sembra mancare completamente una “cultura della giustizia”, e quindi manca una spinta concreta dalla “società civile” e dalla politica per affrontare il problema. La cronaca di questi giorni è ricca di esempi in questo senso: lampante è il caso delle polemiche intorno alla vicenda degli stupri, che mancano completamente il nocciolo della questione poiché si confonde l’arresto ai fini di garantire la regolarità delle indagini con una “pena anticipata”, e si finisce con il chiedere (incentivati anche da molti politici che cavalcano l’onda) una condanna senza processo, anziché una condanna severa dopo un processo immediato, che non si perda in “cavillosità” burocratesi. LINK
Perchè solo i processi al cavaliere dovrebbero essere dovuti e urgenti, e gli altri possono attendere? Chiaramente perchè è il primo ministro! Quanto conta la discrezionalità dei PM.?  A sentire il Prof Violante, che è ex magistrato ed è di sinistra, conta molto.
Parla Violante ....."non tanto «ricostruzione della legalità violata», bensì «verifica che la legalità non sia stata per caso violata»: pubblici ministeri alla ricerca del reato anziché della prova di un reato di cui hanno avuto notizia, come invece dovrebbe essere. E non si può continuare a nascondersi dietro «l' ipocrisia costituzionale» dell' azione penale obbligatoria, che nella realtà è affidata alla discrezionalità del singolo Pubblico Ministero;

Questo significa che tutta la macchina giudiziaria lavora per la prescrizione. Un imputato che ha soldi e quindi la possibilità di resistere in giudizio, è inutile che acceda a riti abbreviati, patteggiamenti se, andando in dibattimento, può vedere il suo processo evaporare a norma di legge**. Notifiche sbagliate, abbondanti possibilità di rinvio, impugnazioni automatiche fino alla Cassazione, un giudice del collegio che cambia in corso d'opera e quindi si ricomincia da principio. E intanto il tempo passa. A partire dalla riforma del codice di procedura penale del 1989 fino ad oggi il legislatore, di riforma in riforma e magari in buona fede, non ha fatto altro che offrire a piene mani cavilli che incentivano tattiche dilatorie per difendersi piuttosto che nel processo dal processo. Nella giustizia civile le cose i tempi sono ancora più lunghi. **L'eccessiva durata del processo è una violazione dell'art. 6 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo e l'Italia è il primo Stato nella graduatoria delle condanne inflitte dalla Corte europea di Strasburgo.** Per queste condanne l'Italia ha pagato e continua a pagare centinaia di milioni di euro, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa considera il nostro paese un "sorvegliato speciale" e si è chiesto addirittura se in Italia sussistano ancora le condizioni di uno Stato di diritto. ...............
Si vede bene che con la "giustizia  è malata" già da tempo, in rianimazione ecco perchè non possiamo predere per oro colato quello che ci  raccontano giornali, vari presentatori di TV e lo stesso premier ovviamente.
Ci preme una riforma "seria" e condivisa.
La condivisione dovrebbe venire da tutti gli ambienti, ivi compresa la Magistratura, sempre se si riesce a mettere da parte gli interessi di "corporazione".
Upnews.it




Banche ed usura (Report La7 del 25/10/09)



Sembrerebbe, dalle interviste ascoltate su "report La7) del 25/10/09 Che la BNL abbia preso da un'azienda qualcosa come il 450% di interessi, come risulterebbe da una perizia giurata fatta da un perito sui conti di questa azienda.
Altre interviste parlano di piccole e medie aziende soffocate dalle banche, che anzichè prestare il credito ordinario, chiedono il rientro degli affidamenti, anche con motivazioni fasulle.
Aziende che lavorano con enti statali, non riescono a farsi dare soldi dalle banche.
Le banche pare che cedano i crediti a....società di recupero crediti ad una percentuale intorno al 10% del credito in "sofferenza". Così facendo riescono a non pagare le tasse sul 90% del credito. Tutto molto legale.Poi magari i danari vanno a finire in società all'estero....e poi chissà.
Perchè le banche agiscono in questo modo, pare che i denari servano per acquistare i titoli dello Stato.
Da capire se Tremonti è o meno a conoscenza. In ogni caso o è incompetente o è d'accordo. Quindi in TV tuona contro le banche e poi, si fa comprare i buoni del tesoro per sopravvivere. Visto che il debito pubblico, secondo rosee previsione arriverà al 120% (eravamo al 105%,  (solo 29.000 €, pro capite per abitante, compresi neonati e ultra ottantenni).
Altra amenità.. un ex dipendente di una società fallita. Si vede richiedere 12000 €. di irpef, per tasse non versate dalla società in cui lavorava. Per cifre che avrebbe dovuto pagare il datore di lavoro come trattenute operate sullo stipendio, e mai versate al fisco. Una volta c'era la galera per questo, poi il Ministro Visco ha depenalizzato.
66 miliardi di euro pagati l'anno scorso per interessi sul debito pubblico! Quest'anno chissà!
Tutto andrà bene se continua la crisi....ma se dovesse finire..sono guai seri. Perchè i tassi di interesse avrebbero un rialzo imprevedibile, ma certamente di molti punti.
A questo punto il debito pubblico avrebbe un'impennata. I buoni dello Stato non si sa chi li comprerebbe, perché il mercato è quello che è. Ma non stupido.
1.750 milardi di debito pubblico, senza vendita di buoni dello stato niente denari per la spesa statale e per pagare gli interessi del debito.
Visto che la produzione in italia è calata mediamente del 50%, il gettito delle tasse sarà conseguenziale.Sempre che le aziende abbiano i danari per pagarle.
Come uscirne?
Tutti dovrebbero pagare meno tasse ma pagarle tutte! Lo stato dovrebbe ridurre le spese, ad esempio i parlamentari sono troppi, le provincie  enti inutili, etc.






La vittima ed il carnefice, il cavaliere ringrazia!

Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo».LinkWiki

Parla Violante ex Magistrato:"non tanto «ricostruzione della legalità violata», bensì «verifica che la legalità non sia stata per caso violata»: pubblici ministeri alla ricerca del reato anziché della prova di un reato di cui hanno avuto notizia, come invece dovrebbe essere. E non si può continuare a nascondersi dietro «l' ipocrisia costituzionale» dell' azione penale obbligatoria, che nella realtà è affidata alla discrezionalità del singolo Pubblico Ministero;
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A dire che la "Giustizia" è malata non sono il primo, ne parlano abbondantemente rapporti di organizzazioni più o meno credibili, e lo sanno bene i cittadini che sono passati per questa giustizia.Il cittadino è uguale di fronte alla legge, questo recita la costituzione. Recita anche che tutti hanno diritto ad un lavoro ed una casa.Troppe recite e poca sostanza.
Una costituzione vecchia di 50 anni e forse più, ma sempre valida teoricamente parlando. Lo sanno bene tutti i cittadini che alla fine la giustizia non è uguale per tutti.Bisogna vedere se hai l'avvocato giusto se hai i danari per pagartelo etc.
Lo stesso dicasi per gli altri diritti sanciti nella carta costituzionale, il lavoro ad esempio, dove è?
Le imprese chiudono o si trasferiscono all'estero.
Se l'impresa è in passivo o semplicemente vuole andarsene tutto ok.
Lo Stato che ha un deficit pazzesco non ha ancora provveduto a dimezzare il numero dei parlamentari che porta la spesa della politica ad una cifra che non esiste tra i paesi dell' UE.Ed ancora lo stato non può licenziare, ma che dico, nemmeno ridurre o bloccare i contratti precari, scandali e scioperi a mai finire! Ma chi paga questi stipendi, con quali tasse, specialmente adesso che il settore "produttivo" è alla malora?
Questo perchè nel pubblico impiego i sindacati funzionano, hanno i tesserati paganti ed hanno le grandi "fabbriche", gli statali sono milioni, non sono quattro gatti come nell'impiego privato.

Tutto questo all'estero non potranno capirlo mai.
In verità non lo capiscono nemmeno in italia!
Ma veramente ci interessa tanto di quello che dicono all'estero di noi?
Ognuno si guardi i propri scheletri nell'armadio.
Tutto questo per far si che il cavaliere diventi sempre più vittima come i sondaggi dimostrano fino a ...ieri 21/10/09 ........55% e ciò malgrado la disoccupazione ..

Il cavaliere ringrazia!
 
 

L'immigrato che toglie lavoro



Apprendiamo questa sera, da "Report rai3" (18/10/09, 21.30), che non tutti gli immigrati vengono in Italia per fare i lavori che gli italiani non vogliono fare.
Il cinese, ad esempio, nella zona di Forlì, dovè c'è una buona produzione di poltrone e divani....il cinese ha fatto concorrenza agli italiani. Lui fa lo stesso lavoro a metà prezzo!.
Praticamente le industrie di divani, che già davano all'esterno buona parte di prodotto semilavorato, una specie di cottimo industriale, adesso non lavoraro più con gli artigiani italiani, che praticamente sono tutti o falliti o hanno chiuso attività, ma preferiscono il cinese che fa lo stesso prodotto a metà prezzo.
Sarà che c'è un problema di mercato globale, e qui bisogna difendersi dalla concorrenza, sarà che gli italiani devono pagare tasse e contributi e mangiano ...poco riso.
Fatto è che i sindacati a cui si sono rivolti i lavoratori di questo indotto. Praticamente tutti, appena hanno sentito la parola cinese, si sono defilati, dicendo che non potevano intervenire contro immigrati.
Troppo ideologia inutile o c'è qualche cosa che ci sfugge.
L'ispettorato del lavoro in un anno ha elevato 300 e passa verbali. Lavoro in nero cinese, non dissimile da quello italiano. La differenza è che il cinese non paga la multa, la ditta cambia padrone, sapete com'è .....il cinese non muore mai. Qualcuno dice che vengono "sostituiti" con altri connazionali, voci di popolo e di imprese di pompe funebri!
Gli Ispettori del lavoro hanno quasi rinunciato a ispezionare i cinesi.Tanto quando ci vanno, trovano tutto a posto! E' solo di notte, il sabato,la domenica e i festivi, che i cinesi si scatenano, loro non hanno giorni di riposo, per loro la domenica non esiste proprio, e sono tranquilli di non avere controlli.
Praticamente, cucitura ed imbottitura del divano costa il 50% di quanto costava 5 anni prima.
Bisogna guardare anche il bicchiere mezzo pieno. L'esportazione, la concorrenza etc.
I lavoratori e gli artigiani rimasti a spasso, ovviamente non godono di alcuna cassa integrazione ne de altri sussidi.
Si sa che in italia la cassa integrazione e  vari, sono riservati ad un'elite in via di estinzione, "l'operaio della grande fabbrica".....se c'è ancora? (leggi art.18)
Quindi migliaia di lavoratori a spasso, ma si sa che l'italiano è sfaticato! Che si spezzi le reni come il cinese e si abitui a mangiare meno.....Questa è una soluzione.
L'altra è che i sindacati, pieni di inscritti, che non si sa da dove vengono, e sovvenzionati dalla Stato e Caf vari, si mettano finalmente a fare il loro dovere! Cinesi o non... e che difendano i lavoratori TUTTI e non solo gli statali e i pensionati e prima di tutti, i lavoratori italiani che stavano già nelle fabbriche prima dell'arrivo dei vari cinesi e che hanno contribuito a fare nascere questo tessuto industriale.
Questi italiani sfaticati hanno la cittadinanza italiana, poi quando busseranno per sussidi e cassa integrazione, che si fa?....li mandiamo a lavorare in cina?

Con questo andazzo non si capisce come si possa uscire da questa crisi occupazionale, considerato che anche nei settori dove non c'è crisi, l'occupazione salta ugualmente.
A proposito, quando daremo il voto agli immigrati ? Me lo sogno pure la notte !

Gli immigrati siano essi comunitari o non devono lavorare alle stesse condizioni dei lavoratori italiani, troppo facile, lavorare a metà prezzo!
Ovvio che i "padroni" ci navigano e la politica chiude un'occhio, qualcuno anche tutti e due. Naturale che i cinesi o altri che vengono sfruttati NON HANNO COLPA. Ma cosa pensate che crederanno i soliti benpensanti?
Pretendere che lo Stato o i grandi industriali risolvano il problema è pura utopia!
Chi dovrebbe intervenire? Abbiamo ancora "sindacati dei lavoratori", dove sono, cosa fanno?.Forse contano solo tessere e cercano di andare in Parlamento.
 I sindacati resterebbero l'unica o l'ultima spiaggia.Essi dovrebbero difendere i lavoratori, ma noto che si sono troppo imborghesiti e rilassati, andava bene solo con la Fiat o con altre grosse industrie, ma quando c'è da difendere tanti lavoratori isolati.....troppa fatica.
A Prato è già finita così.Fuori gli italiani e dentro i cinesi, che nemmeno hanno la scusante di essere un popolo da terzo mondo, vista la crescita del PIL cinese!
Nei prodotti italiani c'è il "Made in Italy", dovremmo aggiungere parzialmente costruito da cinesi in italia.
Ci saranno altri che si offriranno di lavorare ad un prezzo inferiore, è solo questione di tempo.
www.blogimprenditori.it/.../schiavi-cinesi-nel-mercato-nero-italiano/
ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/.../241812-lavoro_nero.shtm
I Carabinieri della Stazione di Sassocorvaro, insieme ai colleghi del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Pesaro, hanno proceduto al controllo di una ditta operante nel settore tessile, gestita da cittadini cinesi, a Mercatale di Sassocorvaro. I militari hanno identificato quattro cittadini cinesi, tutti in regola con il permesso di soggiorno.
Durante i controlli i Carabinieri hanno individuato all'interno del capannone industriale una porta secondaria, nascosta da un armadio, che consentiva l'accesso a locali realizzati con pannelli in cartongesso adibiti a camere da letto, cucina e servizi. Nell'area “nascosta” i militari hanno trovato quattro cinesi per i quali sono in corso gli accertamenti per verificare la regolare presenza sul territorio nazionale.
Al termine delle verifiche i Carabinieri hanno denunciato Z. Q., 27enne cinese, residente a Sassocorvaro, titolare della ditta. Le condizioni igieniche, infatti, sono risultate inadeguate, non erano presenti estintori sul luogo di lavoro, non sono stati adottati, inoltre, i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e assistenza medica in caso di emergenza.
http://www.viverepesaro.it/index.php?page=articolo&articolo_id=216305












Ciancimino e figlio,Annozero, puntata del 8 Ottobre 2009


Vito Calogero Ciancimino (Corleone, 2 aprile 1924 – Roma, 19 novembre 2002) è stato un politico e criminale italiano, appartenente alla Democrazia Cristiana e facente parte di Cosa Nostra.Figlio di un barbiere di Corleone, si diplomò ragioniere nel 1943 e ricoprì, nella città di Palermo, la carica di assessore comunale ai lavori pubblici dal 1959 al 1964. In questo periodo egli non si oppose al cosiddetto "Sacco di Palermo".Eletto sindaco di Palermo per la Democrazia Cristiana nel 1970, era insieme al suo predecessore Salvo Lima, il leader siciliano della corrente politica "Primavera", guidata a livello nazionale da Giulio Andreotti.Durante gli anni della speculazione edilizia palermitana, sotto il sindaco Ciancimino, venne emesso il numero record di licenze edilizie, gestite dalla mafia di Corleone ma che risultavano intestate invece a tre persone nullatenenti (cosiddetti prestanome).Nel 1984 il pentito Tommaso Buscetta lo definisce "organico" alla cosca dei corleonesi: nello stesso anno Ciancimino viene arrestato, e nel 2001 sarà condannato a tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso esterno[?? una sentenza favorevole dopo le dichiarazioni di buscetta] in associazione mafiosa. Nel 1985 la DC lo espulse dal partito, e pochi giorni prima che morisse, il comune di Palermo gli presentò un'ingente richiesta di risarcimento, pari a 150 milioni di euro, per danni arrecati all'amministrazione comunale: di questi l'ex politico ne consegnò solo sette. Vito Ciancimino rappresenta la pagina più nera per l'amministrazione comunale di Palermo. I magistrati che indagarono su di lui lo definiranno «la più esplicita infiltrazione della mafia nell'amministrazione pubblica».
Wiki-Link  Questa la presentazione del "capofamiglia".

Personalmente più che un politico lo definirei un mafioso. Il suo ruolo di sindaco durò appena 15 giorni. La sua presenza al comune di Palermo, anzi nella sedia dei sindaci eletti successivamente, era constante, come tutti qui sappiamo. Se fosse stato un semplice uomo politico non avrebbe potuto imporre la sua presenza a tutti i sindaci eletti successivamente.
Già ma i figli non devono pagare le colpe dei genitori, giusto!
Sembrerebbe, per sua affermazione ad "annozero", che questo figlio Massimo non sia proprio uno stinco di santo. Ha detto che ha qualche pendenza con la giustizia.
Perchè sta parlando, cosa cerca, cosa vuole ottenere? E' solo un mitomane? Non credo! Lui parla per un motivo preciso.Metterà in "mezzo" molta gente, anche politici.Non ha paura? Evidentemente no, quelli di cui parla o parlerà non gli fanno paura.
Sembra assodato che i Ros abbiano intrapreso una specie di patto con il defunto don vito, lo Stato gli assicurava una vita più facile e lui doveva consegnare i suoi compari latitanti.
Lo Stato che scende a patti....grande scandalo! Giusto. Ma non è la prima volta e nemmeno sarà l'ultima e poi consentitemi di avere forti dubbi sulla autenticità di questo patto,.Nel senso che probabilmente i Ros cercarono solo di fare i "fatti loro", altro che "papello".Perchè dico questo è semplice, alla fine ,i boss vennero tutti arrestati! Se questo vi sembra un patto......
In Sicilia abbiamo conosciuto carabinieri come il Gen.C.A.Dalla Chiesa, massacrato insieme alla moglie dalla mafia. Questi i Carabinieri che conosciamo e per i quali possiamo avere solo rispetto.
1-La perquisizione in casa reina non venne fatta. Fu arrestato per strada. La famiglia ebbe il tempo di mettersi in salvo. Anche questo sembrerebbe un patto con i Ros a non voler pensare ad una distrazione o dimenticanza. Il patto è verosimile, visto che da queste parti, la famiglia non si tocca. Molti potrebbero pensare che sia stata svuotata la casa da chissà quali segreti, tesori o papelli.E' sempre il risultato che conta, cioè tutti in galera, mai vista un'operazione simile in 50 anni.
2-Il compianto Giudice Borsellino venne assassinato,insieme alla scorta, sotto casa della madre. Stranamente il marciapiede antistante il portone, non era libero da auto parcheggiate, di cui una con l'esplosivo. Chi abita a Palermo sa bene che tutte le residenze dei Giudici erano controllate, così pure i parcheggi erano assolutamente vietati, bastava fermarsi un attimo per essere redarguiti aspramente, polizia CC,GdF e soldati, si i famosi soldati che Napoli non voleva, chissà perchè.
3-L'agenda rossa del Giudice Borsellino. Sparita dalla borsa che un teste asserisce in TV di aver consegnato ad un'ufficiale dei CC in alta uniforme.
4-Il Giudice Borsellino sapeva del "patto".Venne informato dalla ex segretaria del compianto Giudice Falcone, verosimilmente si sarebbe ribellato, non c'è dubbio.
5-Il ministro Martelli asserisce di aver trovato resistenze alla camera, allorquando doveva passare una legge che inaspriva le pene ai mafiosi, questa è un'altra storia.Andiamo a vedere chi faceva ostruzionismo.
Tutti questi punti ed altri devono essere chiariti.

Quello che non quadra è dove è finito il danaro della cosca di Corleone e di
Ciancimino, il famoso assessore ai lavori pubblici del "sacco" edilizio degli anni di piombo di Palermo.Possibile che il figlio non ne sappia nulla?
Ed ancora si ipotizza che il Giudice Borsellino venne ucciso perchè a conoscenza del patto tra ros e mafia.
Personalmente ritengo che il compianto Giudice fosse un morto vivente e che la sua fine era stata deliberatadal solito tribunale di Corleone, da tempo, forse insieme all'amico di infanzia compianto Giudice Falcone.
Il motivo? Non serve un motivo, se sei ......contro di loro è più che sufficiente.
Qui abbiamo addirittura un processo con centinaia di condanne.Cose mai viste da queste parti in secoli di mafia!
Lo dimostrano le decine di magistrati ed investigatori uccisi senza pietà (il 99% erano siciliani).
Si, perchè io ho visto tanti corpi massacrati di investigatori e giudici ed anche gente comune e mafiosi, in questo mezzo secolo.Qui l'omicidio era cosa normale di tutti i giorni.Non era normale trovare qualcuno che parlasse. Anche gente comune e specialmente! Facciamoci i fatti nostri che campiamo cent'anni!
Ad esempio mi vengono in mente i Giudici Chinnici e Costa, perchè nessuno ne parla mai? Chinnici venne ucciso con la stessa tecnica dell'esplosivo, da queste parti l'esplosivo era privilegiato rispetto le armi tradizionali.
foto omicidio Chinnici
Ricordo pure che i vari condomini della città, dove abitavano Magistrati, ebbero un momento di smarrimento, arrivando a chiedere ai Giudici di cambiare casa.
Intendo bene che per chi abita al nord italia o per qualcuno anche di qui è difficile pensare che un uomo come riina abbia potuto tenere in scacco lo Stato per tanto tempo. L'uomo riina non era meno di altri uomini che hanno avuto il ruolo di capo, non c'è alcuna meraviglia da queste parti per chi conosce la storia siciliana. A Palermo si arrivò a contare circa 2000 uomini "d'onore" più i vari soldati e affiliati non oso pensare il numero totale che è stato certamente di tutto rispetto.

Qui c'è un link ad un'altro capo storico di cosa nostra, successivamente ucciso da Liggio o Leggio, il Dr Navarra, primario ospedaliero e boss dei boss.
Ricordo che mentre era in piedi il maxiprocesso il compianto Giudice Borsellino chiese ed ottenne il trasferimento.
Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e da tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia Questa reagì bruciando il terreno attorno ai Giudici: dopo l'omicidio di Giuseppe Montana



e Ninni Cassarà nell'estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara (incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le basi dell'istruttoria. Ma il 16 novembre 1987 diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla Giustizia. Il Maxiprocesso sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia. Borsellino già era a Marsala da 1 anno! Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e lascia il pool..... LinkWiki

Borsellino a Marsala
Borsellino chiese ed ottenne (il 19 dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio.
Secondo il collega Giacomo Conte la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva ad una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza. 
Da capire quale fosse il vero motivo per cui Paolo Borsellino chiese il trasferimento. Forse i due Giudici amici ritennero opportuno dividersi per evitare di essere uccisi insieme. Questo è il famoso video dell'intervista al Giudice Borsellino fatta da due giornalisti (francesi??) se ascoltate attentamente non dice proprio nulla di rilevante sul cavaliere di arcore. Solo discorsi generici, evidentemente o non poteva o non c'era niente da dire. Il video di cui parla Travaglio cosa si evince dall'ascolto lo sentirete voi stessi,


Cosa dice, anzi cosa gli viene chiesto ? Se conosce tizio, caio e sempronio. Lui risponde che di Mangano conosce gli atti perchè nel maxiprocesso di Dell'Utri ha sentito parlare e di Silvio, non risponde. E' probabile (in qualche caso è sicuro) che qualche imprenditore abbia ricevuto e continui ad avere danari da cosa nostra da investire , questo di Calcestruzzi spa è un caso già assodato. Chi è venuto in possesso del video l'ha tagliato, accorciato è venuto fuori qualcosa che si sente e no dove il movimento delle labbra non corrisponde alle parole.Ogni giornalista ed ogni Blog ha detto la sua e ha fatto un titolo diverso. Insomma la mafia fa "odience".Ci vogliono prove e riscontri, non bastano congetture.Il sistema del Giudice Falcone era esattamente quello di trovare le prove come in questo caso Contrada. Senza prove e riscontri si rischia di alzare solo polveroni che metterebbero in ombra la vera lotta a cosa nostra.

Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo»
.LinkWiki

Conflitti al Tribunale di Palermo e politici - parla Caponnetto
continua...





La questione meridionale

Il sud dentro il sud
Una elevata prevaricazione interna che ha creato un sud dentro il sud..
In Calabria, Sicilia e Campania non c'è un vero mercato, non c'è libera concorrenza, ma prevalgono forme di produzione e di accumulazione pre- moderne, basate sulla violenza e sull'illegalità, che consentono alle mafie di produrre un "fatturato" stimato (forse per difetto) in 130 miliardi di euro, corrispondente al 40% del Pil meridionale e al 10% di quello italiano.
Un'incidenza davvero ragguardevole, ben oltre i limiti fisiologici tollerabili, maggiore di quella derivata dal fatturato di alcuni grandi gruppi industriali italiani.
Un fiume di denaro che, oltre a sfuggire in gran parte al fisco, fa della criminalità uno dei soggetti principali dello scenario economico e finanziario del Paese, con articolazioni importanti in diversi Stati europei, dell'est e dell'ovest.
A ben pensarci, senza questo 10% d'origine malavitoso forse l'Italia non potrebbe sedere nel club del G8. Molti, soprattutto all'estero, si chiedono: perchè lo Stato democratico, i diversi governi succedutisi non hanno mai intrapreso una lotta seria, definitiva contro le organizzazioni criminali?
Il pensiero corre ai voti che le mafie convogliano sui partiti di governo. Ma il voto, da solo, non basta a spiegare un fenomeno così potente e radicato.
In realtà, la motivazione principale credo stia in questi enormi flussi di capitali che, per vari canali, anche leciti, affluiscono nel sistema economico e nel circuito finanziario nazionale ed internazionale.
Insomma, senza questo apporto, ormai consolidato, verrebbe a mancare un pilastro finanziario importante, difficilmente sostituibile con risorse lecite.

Immigrazione e federalismo egoistico
Ma torniamo al Meridione dove al permanere di dinamiche così perverse si registra l'attivazione di alcune più virtuose che hanno favorito l'emancipazione economica di talune regioni.
Tutto ciò è successo nel corso degli ultimi tre lustri (1992-2007), ovvero durante la lunga e confusa (e non conclusa) fase della transizione politica italiana, apertasi con l'esplosione di "tangentopoli" (1992) che ha travolto il sistema politico della "prima Repubblica" e capovolto i termini del tradizionale rapporto nord-sud.
Nel senso che, anche grazie alle pressioni ricattatorie della Lega di Bossi, nell'agenda politica e di governo non figura più la "questione meridionale", ma quella "settentrionale", accompagnata dalla rivendicazione di un "federalismo fiscale" caricato di un significato punitivo verso il sud "sprecone".
Il progetto di riforma federalista, già varato dal governo Berlusconi, se attuato rischia di perpetuare, di acutizzare il divario fra nord e sud e quindi d'innescare una contrapposizione fra regioni ricche del centro nord e regioni meno sviluppate del sud che potrebbe disarticolare l'autorità dello Stato e l'unità della nazione.
Si creerebbe, così, il clima perfetto per consentire alla Lega di far passare la sua idea costitutiva di secessione del nord, mai veramente abbandonata.
Un progetto subdolo, disastroso per l'Italia e per l'Europa, che non si nutre soltanto dell'egoismo razzista di taluni gruppi improvvisamente arricchitisi, ma che fa leva su alcuni fenomeni sociali nuovi che stanno modificando il tradizionale rapporto fra nord e sud del Paese.
Fra questi, grande importanza assume l'immigrazione extracomunitaria. L'afflusso, piuttosto recente, nelle regioni del centro-nord di milioni d'immigrati ha fatto venir meno uno dei presupposti del "patto scellerato" sul quale si è fondato, dall'Unità in poi (1860), il difficile equilibrio fra nord e sud. Com'è noto, quel "patto", mai ufficialmente ammesso, assegnava al Sud una doppia funzione subalterna verso l'industria del nord: di fornitore di braccia e cervelli e di grande mercato di consumo.
Oggi, il nord, giunto ad uno stadio di saturazione del suo sviluppo e in forte competizione con altre realtà industriali europee e mondiali, alle braccia meridionali preferisce quelle provenienti dall'Africa, dall'Asia e dall'America latina.
Meglio se clandestine poiché costano meno e non hanno diritti da rivendicare.
Tuttavia, il Nord non può fare a meno del Mezzogiorno che resta pur sempre un importante mercato (circa 20 milioni di consumatori) e luogo strategico di deposito, trasformazione e distribuzione di prodotti energetici. Soltanto in Sicilia si raffina il 40 % delle benzine, mentre sulle sue coste approdano due giganteschi metanodotti provenienti dall'Algeria e dalla Libia.
Nei nuovi programmi, in corso di attuazione, è prevista, sempre in Sicilia, la realizzazione di due grandi impianti di rigassificazione e almeno di una centrale nucleare.
Insomma, il sud sempre di più acquisterà un peso decisivo nella strategia di approvvigionamento energetico del Paese.

Il Mezzogiorno ponte europeo nel Mediterraneo
Anche se la Casmez è stata abolita, l'intervento speciale nel Sud, seppure in misura ridotta, è continuato sotto altre forme. In particolare, utilizzando i vari progetti comunitari, purtroppo concepiti ed attuati in continuità col vecchio meccanismo e, pertanto, con risultati vicini allo zero.
Peccato! Poiché si è persa un'altra importante occasione per il Sud.
Infatti, oltre ad avere sprecato una gran quantità di denaro pubblico, si rischia di non cogliere le tante opportunità che si produrranno, nei prossimi anni, grazie allo sviluppo globale e multi polare nella zona mediterranea.
Il Mezzogiorno, fisicamente e storicamente proiettato nell'area mediterranea, potrebbe candidarsi a divenire zona-cerniera, ponte del partenariato e della zona di libero scambio euromediterranei.
Cambierebbe così il suo ruolo: da area emarginata a punta più avanzata dell'Italia e dell'Europa del dialogo e della cooperazione con i Paesi rivieraschi.
Inoltre, sappiamo che nel Mediterraneo, speriamo al più presto pacificato e politicamente co-gestito, si materializzerà, attraverso il canale di Suez, una fra le più sconvolgenti novità sul terreno dei rapporti economici, culturali e politici fra Europa e Asia.
Per il sud italiano, così come per altri sud europei, si apre, infatti, una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, in particolare, oggi, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania.
Una prospettiva che potrebbe consentire al Mediterraneo un "ritorno" al ruolo storicamente assolto fino al 1492.

Spostare a sud l'asse dello sviluppo italiano ed europeo
Ma il sud è attrezzato per intercettare, accogliere almeno una parte di tali flussi? Credo, proprio di no o solo in parte. Anche perché non supportato da una politica estera orientata a tale scopo.
La politica italiana verso il Mediterraneo continua ad essere eclettica, senza un centro, in qualche caso pittoresca, e soprattutto condizionata dagli egoismi razzistici della Lega nord.
Anche questo è un segno evidente del declino.
Una grande nazione non può, davvero, presentarsi al mondo così conciata.
L'Italia, cogliendo il nuovo clima derivato dall'elezione di Obama, deve operare una svolta nella sua politica estera, per mettere il Mezzogiorno al centro del nuovo scenario geo- economico mediterraneo che si configura come uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo.
D'altra parte, se si vuole uscire dalla "crisi" rinnovati bisognerà puntare sul riequilibrio produttivo del Paese, prendendo atto che lo sviluppo del nord è prossimo alla saturazione e che, quindi, soltanto il Mezzogiorno potrà garantire all'Italia una continuità di crescita razionale ed eco-compatibile.
Appare necessario, pertanto, lo spostamento a sud, verso il Mediterraneo, dell'asse dello sviluppo per delineare una prospettiva economica virtuosa, di fuoriuscita dal parassitismo e dall'illegalità.
Molto sta alla politica, ai governi, ma anche ai cittadini del Sud, perché il mezzogiorno sarà- parafrasando un pensiero di Fernand Braudel- come lo vorranno meridionali.

Una nuova politica, un nuovo pensiero
A fronte di tali, possibili sconvolgimenti va anche aggiornata l'analisi teorica e politica della realtà meridionale, per individuare nuove chiavi di lettura e nuovi strumenti d'intervento.
Riflessione necessaria anche per evitare che si accrediti nell'opinione pubblica internazionale un'idea riduttiva del Sud così com'è rappresentato da taluni libri o film di successo, compreso l'ottimo "Gomorra" di Roberto Saviano.
Bisognerebbe, pertanto, aggiornare e, se del caso, superare talune teorie politiche e sociologiche meridionaliste che non reggono più al confronto con la realtà e con le tendenze attuali.
Anche la sinistra, le forze progressiste devono compiere uno sforzo coraggioso.
Un solo esempio. Davanti a mutamenti così radicali, imprevedibili, penso sia limitativo attardarsi sulla diagnosi di Antonio Gramsci, com'è noto basata sul citato "patto scellerato" fra industriali del nord e agrari del sud, al quale contrapporre l'alleanza fra operai del nord e contadini poveri del sud.
Analisi lucidissima, ma datata. Valida per interpretare il vecchio contesto storico e politico.
Oggi, la gran parte di questi attori sociali risultano ridimensionati nel loro ruolo politico ed economico, o fortemente emarginati nell'odierno contesto. Nuovi soggetti sono entrati in campo e soprattutto si è ampliata la prospettiva del Mezzogiorno in senso globale.
Insomma, fermo restando il suo ancoraggio all'Europa, il Sud deve ripensare, anche in chiave teorica, la sua strategia di crescita che necessariamente dovrà articolarsi in senso bi-direzionale: verso la dimensione planetaria dell'economia globale e quella regionale del partenariato euro-mediterraneo. Questa è la nuova, grande sfida per i prossimi anni.

Il declino della Sicilia, il suo fatale enigma
All'interno di tale prospettiva si dovrà ricollocare il ruolo della Sicilia, grande regione europea e mediterranea, segnata da aspri contrasti e da grandi potenzialità.
Isola-baricentro del Mediterraneo, in passato sede d'incontro fra culture diverse, la Sicilia vanta una storia pluri-millenaria e un ricco patrimonio archeologico e monumentale che ne fanno uno fra i più importanti "giacimenti" culturali del pianeta.
E' da circa 40 anni che andiamo proponendo, talvolta in solitudine, un'ipotesi euromediterranea per il futuro dell'Isola. Ora tutti si scoprono "mediterranei".
Anche se, nel migliore dei casi, il Mediterraneo è argomento di conversazione, nel peggiore motivo per lucrare sui finanziamenti europei.
In questi decenni, poco o nulla si è fatto per valorizzare la naturale vocazione mediterranea della Sicilia e, soprattutto, per superare gli ostacoli interni ed esterni che ne impediscono una sua proiezione dinamica e moderna.
Quest'Isola lenta e dubbiosa verso un "progresso" invadente e livellatore, battuta dal vento di scirocco che qui giunge impregnato dell'eco torrida di lontani deserti africani, sembra chiudersi in se stessa, rientrare nel suo fatale enigma. Alla politica è subentrata la cabala per cui comanda chi meglio riesce ad interpretare il mistero.
Una fase difficile, dunque, segnata da una tendenza al declino, generale e diffuso.
Certo, anche nell'Isola si registrano cambiamenti positivi, ma non tali da allinearla, per redditi e qualità di vita, alle tendenze in atto in altre regioni italiane.
Si tratta, infatti, di poche realtà pregevoli, anche d'eccellenza, che rischiano d'infrangersi contro una sorta di "circuito dell'illegalità", eretto intorno all'Isola da forze potenti, che svilisce gli sforzi mirati a sviluppare la produzione e una moderna organizzazione dei servizi e delle professioni.
Un declino evidente accelerato da taluni passaggi cruciali, fra i quali il temuto capovolgimento di ruoli fra politica e "poteri forti", a favore di questi ultimi. Com' è successo un po' dovunque nel mondo a seguito del prevalere delle pratiche neo-liberiste, la politica ha perduto il suo primato, altre entità si sono insediate al posto di comando.
Con una differenza però che in Sicilia a comandare non sono le grandi corporazioni multinazionali, ma oscure consorterie locali.

E la palma non potrà più salire...
Nonostante questa specificità, la Sicilia non è una scheggia impazzita all'interno di un sistema sano. La sua condizione riflette l'andamento generale della situazione italiana.
Esiste, infatti, un legame forte fra l'isola e la penisola, di scambio e di reciproca influenza colto a più riprese anche dalla letteratura, soprattutto straniera.
Alcuni esempi. Goethe, nel 1787, addirittura sentenziò: "Senza la Sicilia, l'Italia non lascia alcuna immagine nell'anima: qui è la chiave di tutto". (1) Edmonda Charles Roux, premio Gongourt 1966, forse più realisticamente, ha sottolineato come : "La Sicilia, nel bene e nel male, è l'Italia al superlativo". (2) Il pensiero della Roux rende di più l'idea di una Sicilia "eccessiva" o, se si vuole, laboratorio-politico, anticipatore delle alleanze politiche nazionali.
Leonardo Sciascia intravide una "linea della palma" che dall'Isola sale verso il nord. Una dolente metafora per segnalare il pericolo di un'esportazione del "modello siciliano"verso la penisola.
Punti di vista, naturalmente. Per altro, la profezia sciasciana non potrà più avverarsi visto che le palme non potranno più salire.
Almeno da Palermo, dove stanno morendo, attaccate da un parassita (il punteruolo rosso) che, come la vendetta di un dio spietato, sta facendo strage dei rigogliosi palmizi, fin dentro il celebre Orto botanico dei borboni.

Un regime a sovranità limitata
Per queste ed altre ragioni, il solco fra La Sicilia e il Paese si allargato. Il nuovo spazio è stato occupato da un sistema di potere arcaico, familistico, parassitario e mafioso che ha bruciato le migliori risorse e prodotto una classe dirigente consociativa, oscillante fra l'astrattezza politica e il gattopardismo più deteriore.
Un sistema opprimente che ha generato un regime a sovranità limitata che ha conculcato i diritti fondamentali dei cittadini, trasformandoli in favori da concedere in cambio di voti e/o di tangenti, e sfumato i doveri dei governanti.
E dire che il molto speciale Statuto di autonomia, che fa della Sicilia "una quasi nazione", avrebbe dovuto garantire all'Isola il massimo dello sviluppo possibile.
A differenza di altre regioni autonome, quali la Val d'Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la stessa Sardegna, l'Autonomia siciliana non ha prodotto i frutti sperati, ha deluso le attese, ha subito una sorte infelice: in parte non attuata e in parte abusata, stravolta.
Alla base di tale distorsione, penso ci sia un equivoco mai chiarito che di tanto in tanto riaffiora: l'autonomia invece di uno strumento di autogoverno e di crescita civile ed economica, è stata concepita come un surrogato del separatismo, per erigere intorno all'Isola un recinto, una sorta
d'anello di fuoco, dentro il quale esercitare uno spudorato dominio e bloccare di là del Faro (di Messina) le innovazioni, i cambiamenti provenienti dall'Italia e dall'Europa.

Un secolo di migrazioni
Di conseguenza, oggi vediamo una regione bloccata nel suo naturale sviluppo, avvilita dal clientelismo, dalla disoccupazione, dal lavoro nero, sfregiata dall'abusivismo edilizio e non solo.
Si vive una condizione per molti versi insopportabile, con la quale devono fare i conti i cittadini e gli imprenditori onesti, ossia la stragrande maggioranza della popolazione.
In primo luogo, i giovani ai quali resta una sola alternativa: adattarsi o fuggire. Una terza via non è praticabile. Si calcola che, nel quinquennio 2002-07, siano emigrati dall'Isola verso le ricche regioni del nord, almeno 150.000 giovani, in gran parte diplomati e laureati.
Ancora emigrazione! Per i siciliani il novecento è stato il secolo dell'emigrazione.
Sono partiti a milioni verso le più lontane contrade del mondo e insieme ad altri hanno scritto uno dei capitoli più drammatici della storia universale delle migrazioni.
Si sperava che col boom economico italiano l'esodo si sarebbe interrotto. Invece è ripreso, anche se- nel frattempo- la Sicilia è divenuta terra d'approdo e di (mala) accoglienza per centinaia di migliaia d'immigrati provenienti dal sud del mondo.
Oggi, con la recessione in atto, non sappiamo cos'altro potrà accadere.

Anche Platone se ne fuggì deluso
In questo clima di grave incertezza, molti si chiedono dove stia andando la Sicilia. Verso quale approdo, quale futuro? La risposta non è facile, anche se l'interrogativo non è più eludibile.
Il futuro è il grande assente nell'immaginario dei siciliani. Un po' tutti ne avvertono la mancanza: chi parte e chi resta.
Eppure non si chiede un avvenire mirabolante, ma un futuro da normali cittadini europei, una prospettiva migliore di questo opaco presente.
Ai siciliani questo futuro è stato negato, rubato perciò preferiscono guardare al passato. Pensano e parlano al passato. Addirittura, nella parlata locale per indicare il futuro si usa il (verbo) presente.
Ostentano un orgoglio, talvolta smisurato, per il loro passato visto come una sorta di eternità volta all'indietro nella quale, come nota Pessoa "ciò che passò era sempre meglio".
Ovviamente, questa assenza di futuro non è una devianza grammaticale, ma la spia di un disagio psicologico collettivo che nasce dall'esperienza storica e spinge i siciliani a rifugiarsi in un mondo sepolto, mitizzato, ritenuto, più a torto che a ragione, migliore dell'attuale.
C'è chi chiama tutto ciò "pessimismo" inveterato, connaturato. Anche contro Leonardo Sciascia, per il quale la Sicilia era "irredimibile", fu lanciata questa accusa che lo scrittore respinse con serena fermezza: "Come mi si può accusare di pessimismo se la realtà è pessima?" (3)
In realtà, non si tratta di un'inclinazione pessimistica dei siciliani, ma della percezione di un male oscuro che permane nel tempo, fin dagli albori della storia siciliana, già durante la splendida civiltà siculo- greca.
Significativa appare, a questo proposito, la "Settima lettera" di Platone (autentica o meno che sia) nella quale il sommo filosofo chiarisce le ragioni che lo spinsero a viaggiare, per ben tre volte e in condizioni drammatiche, da Atene a Siracusa per aiutare il suo discepolo Dione ad insediare in Sicilia la sua "Repubblica".
Tentativi falliti, miseramente. Com'è noto, il filosofo, per salvarsi, fuggì precipitosamente dalla Sicilia, portandosi dietro l'amarezza della delusione patita: "Mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto..."
Insomma, anche nei tempi antichi la vita politica siciliana era piuttosto inquinata. Oggi la situazione è mutata, ma temo in peggio. Se Platone ritornasse per la quarta volta nella Trinacria avrebbe ben altro di cui lagnarsi.

Cambiare si può, si deve
Per concludere. La Sicilia ha un grande bisogno di libertà e di un forte recupero della sua identità culturale e storica che, senza scadere nella velleità indipendentista,
per altro dolorosamente sperimentata,
ridia ai siciliani il senso della loro storia e quindi la responsabilità di costruire un futuro di progresso nella legalità.
Si può fare. Importante è partire, riavviare la ricerca e la cooperazione fra tutte le forze sane dell'Isola che resistono ed attendono un segnale di autentica liberazione.
Ma i siciliani desiderano il cambiamento?
Talvolta parrebbe di no.
Si accetta di vivere, rassegnati, in una società immobile, individualista che tende ad escludere i settori più problematici, compresi i suoi figli ventenni.
In realtà, la maggioranza dei siciliani non è contenta di tale condizione, anzi la vive nell'angoscia,
come nell'attesa del crollo.
C'è una contraddizione latente fra consenso politico e spirito pubblico che nasce dallo scetticismo verso ogni ipotesi di cambiamento, verso un sistema politico, affaristico e consociativo, tale da far della Sicilia una regione "senza governo e senza opposizione".
Tuttavia, sperare si può, si deve. Anche attraverso una sorta di autocoscienza collettiva. Tutti devono riflettere sulle condizioni e le sorti future della Sicilia, ripensare le loro azioni.
Tutti e di più. Anche i mafiosi, ossia coloro che rappresentano il "male assoluto".
A questa gente, ferme restando le responsabilità penali, bisogna provare a chiedere di riflettere sugli errori e sugli orrori commessi, ponendosi dal punto di vista di chi li ha subiti, per capire il dolore degli altri e cambiare rotta.
Soprattutto dovranno meditare e cambiare registro tutti coloro che hanno abusato del potere loro conferito dalla legge e dagli elettori. Alla Sicilia bisogna offrire una nuova chance.
Qualcosa si muove sotto la superficie di questo mare cupo e limaccioso. Si agitano insofferenze e fermenti di cambiamento, s'intravede come una linea di riscatto in emersione attorno alla quale aggregare e mobilitare forze e risorse in grado di spezzare il circuito dell'illegalità, per riacquistare il futuro.

LA QUESTIONE MERIDIONALE

8 regioni, suddivise in 28 province, che rappresentano il 75% delle acque territoriali, il 41% della superficie e il 35% della popolazione italiane.

Un territorio carico di storia e di cultura, ma segnato da acute contraddizioni sociali ed economiche che parevano insanabili per via ordinaria.

Tanto che, agli inizi degli anni '50, la politica italiana decise di affidare il Sud alle cure di un ministero ad hoc istituito e agli interventi operativi speciali della Cassa per il Mezzogiorno (Casmez).

Da allora ad oggi qualcosa è cambiato in meglio, tuttavia la questione meridionale resta come palla al piede dell'Italia.
Se non altro perchè è rimasto immutato il divario col Nord.

Recenti dati Istat ci dicono che l'apporto del Sud alla formazione del PIL italiano è stato nel 2007 del 23,8% mentre nel 1979 era del 24,0%.

Addirittura una leggera flessione che segnala il permanere di una difficoltà di fondo che acuisce il disagio sociale e scoraggia gli investimenti italiani e soprattutto stranieri.

Secondo l'ultimo rapporto Svimez, nel 2006, solo lo 0,66% degli investimenti diretti esteri sono stati allocati nel Sud mentre il 99,34% si é orientato verso il centro nord.

All'interno del dato globale di segno negativo, si registrano significativi progressi a macchia di leopardo, concentrati specialmente nelle 4 regioni più piccole che stanno "fuoriuscendo" dal Mezzogiorno.

La svolta riguarda Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna che, nel 2007, hanno fatto registrare un Pil pro-capite superiore alla media meridionale attestatasi su 17.552 euro.

I fattori di tale performance sono molteplici: innovazione, prossimità con i mercati, efficienza dell'infrastrutture e dei servizi, ecc. Tuttavia, il fattore più influente, e unificante, sembra essere l'assenza del predominio mafioso sui loro territori.

L'esatto contrario di quanto si verifica nelle rimanenti regioni Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, tutte al di sotto della media del Pil, segnate da una soffocante presenza della criminalità organizzata (rispettivamente: Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita) che condiziona l'economia, l'amministrazione e, in una certa misura, la società civile.


Note:
(1) Johann W. Goethe in "Viaggio in Italia", Garzanti Editore, 1997
(2) Edmonda Charles Roux, "Oublier Palerme", ed. Grasset, Paris, 1966
(3) Leonardo Sciascia "La Sicilia come metafora" (intervista di Marcelle Padovani),
Arnoldo Mondadori Editore, 1979
4) A. Spataro in "La Repubblica" del 17/4/2004

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Riforma del processo penale "dimezzati" i PM

L'opera della maggioranza non è conclusa. Il premier Silvio Berlusconi ha già tracciato il prossimo passo: l'abolizione del secondo e del terzo grado per chi viene assolto in primo. Poi verrà tutta la parte delle modifiche costituzionali, a cominciare dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Consiglio dei ministri alla fine approva il disegno di legge sul processo penale. Si tratta di cinque deleghe, in parte ritocchi "di servizio", in parte norme che incidono pesantemente sui procedimenti. Praticamente dimezzate le prerogative dei pubblici ministeri, la Lega ottiene l'elezione dei giudici. Pd e Idv duri, l'Udc contesta solo il metodo.
Tornando alle misure di oggi, la parte più attesa rispecchia pienamente le indiscrezioni. C'è la modifica del rapporto tra pm e polizia giudiziaria, ed è esattamente - niente di più, niente di meno - una limitazione dei poteri dei primi. Il pm "non può più prendere cognizione diretta delle notizie di reato. Si limiterà a riceverle dalla polizia giudiziaria". Quest'ultima "godrà di maggiore autonomia, così da poter svolgere investigazioni anche autonome rispetto a quelle delegate dal pm".

E' passato in secondo piano visto il duro scontro istituzionale che si è sviluppato sul caso di Eluana Englaro, ma si tratta comunque un provvedimento atteso e, come previsto, contestato.
Il Consiglio dei ministri di oggi (venerdì) è riuscito alla fine ad approvare il tante volte rinviato disegno di legge di riforma del processo penale.
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha rivendicato l'ascolto e l'accoglimento di alcune proposte dell'opposizione e dell'Associazione nazionale dei magistrati.
Non sono dello stesso avviso Partito democratico, Italia dei valori e Udc, che hanno subito contestato il metodo e il merito del ddl, articolato in cinque deleghe che il governo chiede al Parlamento per approfondire la materia.
Ci sono norme "di servizio" come il riordino delle comunicazioni e delle notificazioni del procedimento penale e delle audizioni di testimoni nel corso dei processi e a distanza, la digitalizzazione dell'amministrazione della giustizia,
la sospensione del processo celebrato in assenza dell'imputato.
C'è l'accoglimento, ancora di una volta, di un principio fortemente voluto dalla Lega nord: l'elezione dei giudici,
limitata ai viceprocuratori onorari presso il giudice di pace.
Ma ci sono soprattutto una serie di misure che incidono sull'organizzazione e la struttura del processo penale.
In generale, fanno pendere maggiormente il processo dalla parte della difesa.
Secondo la maggioranza ce n'era bisogno, secondo Pd e Italia dei valori no,
a mio modesto avviso, si. Meglio un colpevole fuori che un'innocente dentro.
Ritengono che l'articolo 111 della Costituzione (quello sul giusto processo) sia già applicato dalla leggi in vigore. I democratici (almeno la parte che detiene l'onere della gestione del dossier, a cominciare dal ministro ombra Lanfranco Tenaglia) si sarebbero limitati a qualche modifica di funzionalità, per rendere il servizio più efficiente.
E' previsto "un maggiore controllo sulle richieste di emissione di provvedimenti cautelari formulate dal pm"
assicurato tramite il visto obbligatorio del capo dell'ufficio. La polizia giudiziaria "potrà compiere tutti gli atti urgenti anche dopo che il pm ha assunto la direzione delle indagini e svolgere di iniziativa propria ogni attività necessaria ad accertare reati". Salvo casi particolari,
"la pg svolge le indagini e relaziona al pm entro sei mesi" mentre per accertamenti tecnici, interrogatori o confronti con l' indagato dovrà farsi autorizzare dal pm.
Sembra finita un'era di dominio incontrastato dei PM.
Se queste riforme complessivamente saranno un bene o un male lo vedremo solo nell'applicazione pratica
.