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Violante contro i magistrati che vogliono influenzare la politica

Non mi sembra ripetitivo ripostare questo intervento:

LO "STRAPPO" TRA PDS E GIUDICI  3-2-1998
Violante contro i magistrati che vogliono influenzare la politica 
ROMA - Con tutto il garbo istituzionale di cui e' capace, anche il presidente della Camera Luciano Violante - 
come con parole molto piu' dirette aveva fatto il responsabile giustizia del Pds Pietro Folena - avverte le toghe italiane che e' arrivato il momento di tornare nei ranghi, 
accentuando cosi' lo "strappo" tra i giudici e il partito loro tradizionalmente alleato: 
"La magistratura non pensi di essere una controparte politica dei poteri politicamente responsabili: 
se pensasse questo farebbe un gravissimo errore". 
I magistrati quindi - ammonisce Violante - "non devono giocare le proprie carte sul consenso, ma soltanto sulle responsabilita' professionali. 
La magistratura fa delle proposte, la politica deve guardarle con attenzione e poi puo' accettarle o respingerle". 
E comunque, secondo il presidente della Camera, "il fatto che la magistratura abbia un peso sulle decisioni politiche e' un errore". 
Dopo l'ammonimento, la pacca sulla spalla: il problema del "peso" e' presente in tutti i Paesi. "E se questo avviene, non e' per colpa della magistratura, ma per gli effetti della politica". Per questo, dice ancora Violante, e' necessario arrivare ad una "ricollocazione costituzionale" e non ad un"ridimensionamento" della magistratura. 
Perche' si tratta di "un potere dello Stato, che merita rispetto: le uscite di campo non sono determinate da sue responsabilita', ma dal vuoto che c'era attorno. Nessuno intende attaccare la magistratura in quanto tale, perche' sull'indipendenza dei magistrati non si discute". Un'indipendenza che secondo Violante nessun politico ha mai cercato di ridurre: "Il testo della Bicamerale non tocca l'indipendenza dei magistrati. Il problema e' di dare alla magistratura i mezzi, le funzioni, tutto quello che e' necessario per essere autonoma, indipendente ed efficiente".
Link all'articolo

Il punto di vista di Violante dell'epoca 3/2/1998 è ancora o quasi quello di oggi.
Valutare quanto sia il peso eccessivo della Magistratura non è facile. E' sotto gli occhi di tutti, però, la smania di protagonismo e il poco peso che viene dato alla fuga di notizie e ai processi fatti in TV e sulla stampa.
Viene da pensare che se la Magistratura funzionasse per davvero non ci sarebbe alcun bisogno di esternazioni, conferenze stampa o dichiarazioni più o meno fra le righe. Ci sarebbero i processi e le sentenze, e non ci sarebbero o non ci dovrebbero essere Magistrati che mentre sono alle dipendenze dello stato vogliono fare carriera politica e magari non eletti pretendono di rientrare in Magistratura.
I due poteri devono restare separati, non sono sovrapponibili.
Piaccia o non piaccia che fa il Magistrato non deve fare politica o conferenze stampa di questo tipo e chi fa politica non può fare il Magistrato.

Limiti della democrazia in una società globalizzata

Dal fallimento della democrazia…


Allegro! Sì, caro. Ma io non posso andare in una taverna come te, a cercar l’allegria, che tu mi consigli, in fondo a un bicchiere. Non ce la saprei trovare io lì, purtroppo! Né so trovarla altrove! Io vado al caffè, mio caro, tra gente per bene, che fuma e ciarla di politica. Allegri tutti, anzi felici, noi potremmo essere a un sol patto, secondo un avvocatino imperialista che frequenta il mio caffè: a patto d’esser governati da un buon re assoluto. Tu non le sai, povero ubriaco filosofo, queste cose; non ti passano neppure per la mente. Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa d’esser uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà. Ma sicuramente! Oh perché credi che soffra io? Io soffro appunto per questa tirannia mascherata da libertà…

Ebbene Pirandello aveva già capito i limiti di questa che consideriamo la forma più alta di governo mai raggiunta dall'uomo. Non è proprio perché vogliamo imporla (ops, esportarla) anche agli altri che facciamo le nostre guerre in suo nome? Proprio come tempo fa la Chiesa bandiva crociate inquisizioni (ecc. ecc.) per “evangelizzare” la terra…
E pensare che Pirandello la democrazia non l’aveva neanche vissuta (i suoi erano tempi di monarchia)!

RAI il bilancio di un'ente che spreca i danari dei contribuenti

Il bilancio della RAI è di 283 pagine. Meritano un'attenta lettura. C'è scritto tutto e, allo stesso tempo, non c'è scritto nulla. Qualcosa però trapela. In primis una reputazione a prova di bomba dell'ente radiotelevisivo. Nella "Relazione sulla gestione" a pagina 6 è riportato che "L'indice sintetico di Corporate Reputation" si attesta su un valore pari a 6,7 punti su una scala di valutazione 1-10, un valore positivo e leggermente superiore alla media delle rilevazioni precedenti" (ndr: l'Italia è 70esima per la libertà di informazione). Si legge in seguito che "I ricavi ammontano a 2.625 milioni di euro riflettendo una riduzione di 199,3 milioni di euro interamente attribuibile a una caduta dei ricavi pubblicitari". L'analisi prosegue a pagina 8 "La RAI registra dunque nel 2012 una perdita di 245,7 milioni di euro. Per i predetti fenomeni, il risultato 2012 risulta in netto peggioramento rispetto al consuntivo dell'esercizio precedente che chiudeva con un utile di 39,3 milioni". Un bilancio soave come un sonetto del Petrarca. Ascoltate il suono delle parole "riflettendo una riduzione", "predetti fenomeni", è come dire che la RAI ha un buco mostruoso, ma lieve come una farfalla, dolce come il miele. Il lettore che si appassiona al bilancio (questo tipo di lettore esiste, i bilanci talvolta sono meglio dei romanzi di avventura) cercherà nel mattone che si trova davanti delle indicazioni sul futuro della RAI. Nell'indice rintraccerà "Area editoriale web" e avrà un moto di rassicurazione. Non tutto quindi è perduto. Al web è però dedicata una sola pagina, la 47. Lungimiranti. La descrizione delle prime tre reti RAI mette di buon umore. "Rai1 affronta una sfida difficile: consolidare la propria autorevolezza (?) come editore di Servizio Pubblico e intanto sperimentare nuovi prodotti e linguaggi". Ammirevole la sfida per l'autorevolezza. "Rai2 si presenta come il più digitale dei canali RAI. Un canale rivolto a un pubblico esigente e attivo che lo segue per scelta e non per abitudine, un pubblico che sa muoversi tra le varie piattaforme ma apprezza una proposta innovativa (?) e al tempo stesso riconoscibile". Rai2, la sera, al posto delle cene eleganti. Rai3 condotta con imparzialità da Bianca Berlinguer è per gente colta "Rai3 è un canale di Servizio Pubblico per conoscere la realtà del nostro Paese, approfondirne i temi, discutere le diverse opinioni (?), inquadrarle nel contesto internazionale. Un luogo di divulgazione culturale e scientifica, di intrattenimento colto". A pagina 59 si trova la "Sintesi economico-patrimoniale finanziaria". I ricavi provengono dal da canone, 1.747,8 milioni, e dalla pubblicità, 674,9 mil., più altre voci, 202,8 mil. In un anno i ricavi da canone sono aumentati di 39,4 mil. e la pubblicità ha perso 209 mil. Tutta colpa della pubblicità, quindi, la perdita? Vediamo. In un anno di recessione "Il personale in organico al 31 dicembre 2012 risulta composto da 10.476 unità, con un incremento di 280 unità rispetto al 31 dicembre 2011". In controtendenza rispetto al mercato che pullula di disoccupati. Nel personale sono presenti 579 dirigenti e assimilati, uno ogni 18 dipendenti. La RAI dispone di 1.373 giornalisti. Uno squadrone. Con queste risorse la RAI dovrebbe produrre di tutto e di più al suo interno, invece molti suoi professionisti sono sotto utilizzati o ridotti a passacarte. Con 10.476 persone puoi spaccare il mondo. Invece, invece... A pagina 92 è riportato il "Conto Economico e i Costi della Produzione". Un'azienda che incassa 2.683,991 milioni, con un organico di 10.476 dipendenti per un costo 922 mil., spende "per consumi di beni e servizi esterni" 1.612,6 milioni. Il 60% dei ricavi. E' una follia gestionale. A chi sono destinati questi soldi? E perchè non vengono utilizzate professionalità interne al posto di costosi e osceni format esterni? Nel bilancio mancano i nomi delle società che incassano 1.612,6 milioni di euro da una società pubblica. I cittadini hanno il diritto di conoscerli, la Tarantola, Gubitosi e il corredo del consiglio di amministrazione hanno il dovere di comunicarli. 


Chiudere due delle tre reti, subito, non servono, non ce lo possiamo permettere un servizio "pubblico" solo per i partiti le lobby e le correnti, i contribuenti che sudano e lavorano per pagare le tasse che servono in buona parte a questi sperperi, sono stanchi!





• La RAI ha 579 dirigenti, uno ogni 18 dipendenti, e 1.373 giornalisti.

• La RAI spende all’esterno 1,6 miliardi, il 60% dei suoi ricavi, per format e servizi che potrebbe sviluppare al suo interno valorizzando i suoi 10.476 dipendenti.
• La RAI ha perso nel 2012 245,7 milioni di euro a causa di una gestione che favorisce nomine politiche e appalti agli amici.


Il Movimento 5 Stelle chiede che:



• Sia reso noto l'elenco dei fornitori della RAI

• Siano valorizzate le competenze e le professionalità interne
• Venga immediatamente sciolto il consiglio di amministrazione 
responsabile della perdita costante di valore della RAI e fatti decadere la presidentessa Tarantola e l'amministratore delegato Gubitosi
• Sia avviato un dibattito parlamentare per eliminare ogni ingerenza politica
• Sia predisposto un piano di rilancio in ottica multimediale e con respiro internazionale

Stipendi d'oro alla RAI

Rai: più dipendenti di Mediaset, Sky e TI Media insieme. Il canone da solo può bastare?
Dal Report di Mediobanca: per la Rai crollo dei ricavi nell’ultimo quinquennio. Aumentano solo dipendenti e canone.
Rai MEDIA - Desolante il quadro della Rai che viene fuori dall’analisi dell’Ufficio Studi di Mediobanca. Una Tv pubblica, quella italiana, appesantita dal numero dei dipendenti e che negli ultimi cinque anni ha visto crollare rovinosamente i propri ricavi, poggiati quasi esclusivamente sul canone televisivo.

Può bastare? Sicuramente no.
Dall’ultima semestrale, approvata a settembre, si rilevano perdite per 129 milioni di euro che, per fine anno, dovrebbero arrivare a 200 milioni (Leggi Articolo Key4biz). Sui conti, ha detto l’azienda, pesano la crisi della pubblicità e gli elevati costi dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi. Senza considerare il costo del lavoro che, nell’ultima semestrale, manifesta un incremento di 2,5 milioni di euro nonostante gli effetti delle politiche di incentivazione agli esodi agevolati attuate negli esercizi precedenti e il sostanziale blocco delle politiche retributive. Al 30 giugno, la forza lavoro del Gruppo è di 11.569 dipendenti a cui si aggiungono 1.660 risorse  a tempo determinato, per un totale di oltre 13 mila dipendenti.

La Rai ha, quindi, il primato per numero di dipendenti, ma non per risultati, con un fatturato in deciso calo su tutto l’ultimo quinquennio.
Secondo i dati di Mediobanca, aggiornati a fine 2011, in forza alla Rai, alla fine del 2011, c’erano 11.378 lavoratori, più dei 10.830 totalizzati da Mediaset (6.126), Sky Italia (3.995) e Ti Media (709) messe insieme.
Numeri che, come abbiamo visto dall’ultima semestrale, sono lievitati.

Nel 2011, sottolinea ancora Mediobanca, il costo del lavoro ha rappresentato il 35,6% del fatturato contro il 13,4% di Mediaset, il 7,3% di Sky e il 25,7% di Ti Media. Nonostante 1.689 milioni di euro di canone, i ricavi della Rai nel 2011 si sono fermati a 2,89 miliardi di euro, ben lontani dai 4,2 miliardi di Mediaset e poco sopra i 2,8 miliardi di Sky Italia.

Nel quinquennio 2007-2011 tra le fonti di ricavo della Rai l’unica ad aumentare è il canone, con introiti saliti del 7,8%, mentre la pubblicità è scesa del -21,9% (da 1,23 miliardi a 965 milioni) e gli altri ricavi del 30,9% (da 350 a 242 milioni). I ricavi della televisione pubblica sono così scesi dell’8,1%, contro un aumento del 4,3% di quelli di Mediaset e del 15% di Sky Italia.
Per la sola La7 i ricavi sono aumentati del 44,8% (-9,2% per tutto il gruppo Ti Media). Il primo semestre 2012 della Rai, chiuso con una perdita di 129 milioni, ripropone la stessa situazione: i dipendenti sono saliti dell’1,7% a 11.569 unità mentre il fatturato è sceso del 7,1% a 1.433 milioni. Il quadro è comunque difficile per tutti: l’utile di Mediaset si è ridotto da 163 a 43 milioni e i ricavi sono scesi del 10,7%, mentre per La7 il contenimento del calo del fatturato (-1,4%), non ha impedito una perdita di 37 milioni.

Una situazione di crisi della quale s’è parlato anche nell’ultima audizione in Commissione di Vigilanza del presidente Rai, Anna Maria Tarantola, e del direttore generale Luigi Gubitosi.
In quell’occasione il presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli, è stato molto chiaro: “Prima di qualunque altro impegno, è necessario dare una svolta a una situazione economico-finanziaria che ha largamente e profondamente condizionato l’identità del servizio pubblico”.
Il presidente della Vigilanza ha anche precisato l’importanza di “una serie di interventi strutturali, e persino radicali, negli ambiti organizzativi e nelle pratiche operative del più grande laboratorio civile e culturale della Nazione”.

In questo senso, Gubitosi s'è impegnato davanti alla Vigilanza a ridurre i compensi delle cosiddette star della Rai: “Stanno scendendo e scenderanno. Stiamo lavorando su questo”.
Aggiungendo, in risposta ad alcuni commissari, “non c'è bisogno di far sapere quanto guadagnano i nostri", se così dev’essere, allora “deve esserlo per tutti, le regole non devono penalizzare solo la Rai, o tutti o nessuno. Comunque voi siete il Parlamento e se fate una legge, la applicheremo".

E anche se Gubitosi in Vigilanza ha dichiarato che la Rai sarà digitalizzata entro tre anni, come cambiare velocemente e adottare nuovi linguaggi per arrivare al pubblico se su 13 mila dipendenti, quelli con meno di 30 anni sono circa 50?
Come farà la Rai a riprendersi? Il canone può bastare?




Niente penali per recesso da compagnie telefoniche.

Le penali sono state abolite dal 2007, ma vengono comunque addebitate ai clienti. Le cifre arrivano anche a 100 euro. 

Per facilitare la concorrenza nel settore della telefonia, dal 2007 le penali per la disattivazione delle linee sono state abolite. Aggirando quanto previsto dalla legge, tuttavia, gli operatori continuano a imporre i cosiddetti "contributi di disattivazione", ostacolando il recesso da parte dei consumatori. Recedere da un contratto telefonico o passare a un altro operatore, quindi, può costare da un minimo di 30 e può superare anche i 100 euro. 

Ecco la denuncia di Altroconsumo: 

Abbiamo inviato 6 ricorsi per pratiche commerciali scorrette all'Agcom contro le principali compagnie di telefonia fissa: Fastweb, Infostrada, Telecom, Teletù, Tiscali e Vodafone. All'Autorità abbiamo contestato la pratica messa in atto da questi operatori, del non informare correttamente gli utenti sull'entità di questi costi, che non sono in ogni caso congrui o giustificati. Un primo effetto della nostra denuncia si è visto nella decisione di Telecom di abbassare questo costo da 60,50 (per disdire telefono più Adsl) a 34,90 euro Iva inclusa. 

In compenso, questo addebito è ora previsto per tutti i clienti che disdicono, prima il costo era previsto solo per quelli che lasciavano dopo il primo anno. Resta comunque, come per gli altri operatori, una spesa che dovrebbe essere limitata ai soli costi effettivamente sostenuti e quindi molto più bassi. Se hai dovuto pagare anche tu queste "penali mascherate", compila il nostro form. Per partecipare attivamente e rafforzare la nostra azione, segnala il tuo caso all'Agcom utilizzando l'apposito modulo che trovi tra le risorse a destra. Compilalo e invialo via fax al numero 06/69644926. 

Come riconoscere queste spese? 

Ogni operatore telefonico ha utilizzato un nome diverso per indicare questi contributi richiesti ai consumatori. Per individuarli in fattura ti indichiamo il dettaglio per singolo operatore: 

Fastweb: importo per dismissione Infostrada: costo per attività di migrazione Telecom: costo disattivazione linea Teletù: contributo disattivazione Tiscali: contributo di disattivazione Vodafone: corrispettivo recesso anticipato/ disattivazioni anticipate.

Spesa pubblica e burocrazia in italia.

Il governo del rimandare.
Non fare oggi quello che puoi fare domani.
E' esattamente quello che avviene in Italia da 40 anni, tutti i governi rimandano i "tagli" ai loro successori e continuano ad aumentare le tasse per sanare i bilanci.
La pubblicità dello stato dice che più tasse si pagano più aumentano i servizi pubblici. Non sta esattamente così io credo, che fino ad oggi, è stato proprio il contrario, più aumentano le tasse più soldi ci sono da impiegare in appalti inutili e clientele varie.
Una classe politica e dirigente inappropriata e incompetente ha portato il paese ad avere il 2° debito pubblico mondiale riversando sulla discendenza (figli e nipoti) i problemi del pagamento di questo debito. Non è certo il comportamento del buon padre di famiglia che tutti quanti dovrebbero tenere.
Dal punto di vista dei consensi, forse, più soldi distribuisci più voti ottieni e se poi aggiungi promesse di diminuire tasse inutili il gioco è fatto!
Una destra che vuole diminuire le tasse ma non vuole fare i tagli e le riforme.
Una sinistra che vuole aumentare le tasse per continuare a riversare denari sul welfare, ottimo proposito solo che non ce lo possiamo permettere se non si tagliano le spese inutili. Il welfare italiano è il più costoso al mondo ma non è esattamente il migliore visto i risultati:
-I salari sono i più bassi d'Europa
-I contributi e i balzelli sui salari sono i più alti d'Europa.
-Scuole ed asili nido, sempre agli ultimi posti nelle graduatorie OCSE
-Contratti di lavoro, una selva oscura, si va dai 400 euro per arrivare ai 15.000 dei Magistrati e Politici .Con  nette e sostanziali differenze di trattamento tra impiego pubblico e privato.
-Pensioni, come sopra, abbiamo avuto esempio di una pensione pari a 3.000 euro giornaliere (Regione Sicilia) contro i 600 mensili di una pensione al minimo. Quindi andiamo a trattamenti da 1.260.000 a 8.400.
-Cassa integrazione ormai al lumicino, c'è, ma non per tutti e con trattamenti molto diversi.
-Sanità, forse è quello che funziona meglio almeno al momento, fatte le dovute differenze tra nord e sud.
-Giustizia tra le peggiori al mondo 146° posto, dopo di noi solo il 4° mondo. Però il costo di questo assurdo apparato è secondo solo alla Germania. Tempi assurdi che rimandano le sentenze ai discendenti. Troppe Leggi e codici che qualcuno ha definito preistorici. Processi civili interminabili che fanno desistere dal promuovere una causa civile della quale non è dato di conoscere il tempo di soluzione e i costi.

Aeroporto civile di Comiso


L'aeroporto è nato come aeroporto militare, abbandonato dopo la caduta del muro, rappresenta una delle tante storie di SPRECHI all'italiana.
I soldi vengono dalla UE ma già ci sono problemi:
BRUXELLES NON NE PUO’ PIU’ - Con la Corte dei Conti che chiederà lumi sui 47.407.976,73 milioni di euro stanziati dal Cipe e con Bruxelles che ha già fatto sapere che se entro la fine del 2012 non verrà attivato l’aeroporto, bisognerà restituire i 20 milioni di euro  di fondi strutturali erogati per la trasformazione dell’aeroporto militare di Comino in scalo civile. Il Governo non lo considera un aeroporto nazionale, la Regione non ha soldi, l’Enac non lo reputa uno scalo strategico. L’Enav non vuole rimanere invischiato. Neanche i privati che hanno vinto la gara per gestire lo scalo sono disposti a sborsare soldi. Anche se probabilmente questi ultimi verranno “privati” dell’incarico.

 E’ il 30 aprile del 2007 quando l’Airbus 319 proveniente da Roma con a bordo i ministri degli Esteri, Massimo D’Alema, quello dei Trasporti, Alessandro Bianchi, il viceministro Sergio D’Antoni e il presidente dell’Enac, Vito Riggio, tocca la pista dell’aeroporto Vincenzo Magliocco di Comiso. Il primo volo di una serie che non è mai continuata. L’aeroporto che in Sicilia orientale avrebbe dovuto risolvere i problemi di marginalità di una delle province che ha sempre brillato per la propria produzione agricola e che è al contempo è l’unica provincia d’Italia senza un km di autostrada, non è mai decollato. Oggi la sua inattività suona come una doppia beffa: doppia per il valore commerciale dell’investimento praticamente buttato al vento e per l’alternativa che lo scalo nella provincia ragusana avrebbe garantito nel momento in cui si profila la chiusura, per un mese dal 5 novembre al 5 dicembre, dell’aeroporto internazionale Fontanarossa di Catania. Tema su cui abbiamo interrogato i candidati alla presidenza della Regione siciliana che – chiunque venga eletto – subito dopo il voto, dovranno confrontarsi con una emergenza di mobilità dalle proporzioni enormi dovendo far fronte allo smistamento di centinaia di migliaia di passeggeri.

Su Comiso e sulla gestione della chiusura di Fontanarossa sono tutti concordi. Lo scalo costato dal 2004 ad oggi più di 30 milioni di euro e mai aperto al pubblico dei passeggeri, deve essere aperto. Lo dicono proprio tutti. Con qualche variabile sul tema.
 Comiso dista 117 Km. da Agrigento, 122 Km. da Caltanissetta, 123 Km. da Catania, 126 Km. da Enna, 219 Km. da Messina, 264 Km. da Palermo.
A cosa serve un aeroporto così prossimo a Catania nessuno lo sa. Ora sembra che l'aeroporto di Catania debba restare per lavori per circa un mese e quindi ben venga Comiso, ma:
  “La chiusura dello scalo di Catania penalizzerà una parte importante del territorio siciliano, certo si potrebbe utilizzare l’aeroporto di Comiso,  ma su questa struttura occorre fare chiarezza a prescindere dalla vicenda Fontanarossa”, precisa subito il candidato del Movimento 5 Stelle, Giancarlo Cancelleri. “Va ricordato, che l’Ue ha già fatto sapere che intende richiedere la restituzione dei fondi qualora Comiso non venisse aperto e poi c’è la vicenda Muos, il sistema di comunicazione satellitare che gli americani intendono installare a Niscemi”.  Cancelleri spiega che “secondo alcune relazioni, che hanno dimostrato la nocività dello strumento, questa antenna andrà ad interferire con i radar dell’aeroporto di Comiso. Quindi si risolva questo problema“.



Conclusioni:


  • Nessun motivo per aprire un'aeroporto così prossimo a Catania,
  • La vicinanza con la base radar o quello che è di Niscemi è controindicata,
  • Al momento attuale non risulta che da queste piste di Comiso sia decollato o arrivato un solo aereo.
Se c'era bisogno di spendere questi denari si poteva trovare una destinazione più proficua, magari un villaggio turistico dove si sarebbero potute impegnare certamente più delle 60 persone che lavorano nell'"aeroporto" fantasma, dove anche il camion dei panini è.......finto, messo li apposta per fare scena.
foto di muos ripresa dall'alto
manifestazioni anti muos 

Video ufficiale


LINK:
A cosa serve un aeroporto a Comiso?
La pretura indaga


Proponi su Oknotizie  

Italiani nel mondo - Emigrazione in Brasile

Il nostro paese è stata interessato al fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo l'unita' d'Italia verso il 1880, anche il Mezzogiorno una volta piu' ricco e florido.
Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli-Venezia Giulia (16,1 per cento) ed il Piemonte (12,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali. Con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.
Essa ebbe come destinazioni soprattutto l'America del sud e gli Stati Uniti . Negli Stati Uniti e in Brasile si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Argentina ed Uruguay fu sia stabile che temporanea .
Nelle pagine faremo un viaggio nella emigrazione del Sud America per scoprire una parte della nostra storia corredata di notizie ed immagini che ci aiuteranno a scoprire il piu' grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze, un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’Unità.
La maggior parte degli italiani si trasferirono in Brasile, Argentina dove attualmente vi sono circa 55 milioni di discendenti di emigrati italiani. Quote consistenti di emigranti italiani si diressero anche in Venezuela , ma vi furono anche nutrite colonie di emigranti italiani in Cile, Peru, Messico, Paraguay, Cuba e Costa Rica ed Uruguay dove i discendenti di Italiani nel 1976 erano 1.300.000 (oltre il 40% della popolazione, per via della ridotta dimensione dello Stato.

GLI ITALIANI IN BRASILE  
Il Brasile ha oggi la più grande popolazione italiana fuori dell'Italia. Secondo l'ambasciata d'Italia a Brasilia, vivrebbero nel paese circa 25 milioni di italiani o discendenti di immigrati italiani.Altre fonti parlano di 28 o addirittura di 32 milioni di persone[6], includendo i numerosi figli illegittimi e rifacendosi all'emigrazione (specialmente di marinai e commercianti liguri) durante l'Impero portoghese nel Seicento e Settecento. A differenza che in Argentina e negli Stati Uniti, dove la maggioranza degli immigrati erano meridionali, in Brasile, fra il 1870 e il 1950, il 53,3% degli immigrati proveniva dall'Italia settentrionale, il 14,6% dalle regioni centrali e il 32,1% dal Sud (mentre negli Stati Uniti i meridionali erano circa il 90%). In Brasile il maggiore afflusso di immigrati proveniva dal Veneto, con il 26,6% del totale, seguito dalla Campania con il 12,1% e la Calabria con il 8,2%. Agli ultimi posti la Liguria con solo il 0,7% degli immigrati, Sardegna con il 0,4% .La prima colonia italiana organizzata nello Stato ebbe luogo a Porto Real dove giunsero nell'estate del 1874 un gruppo di famiglie italiane.Alla fine del XIX secolo, nell'ambito della “immigrazione programmata” dal governo brasiliano dopo l'abolizione della schiavitù (1888), furono le grandi "fazendas" la meta di agricoltori e braccianti italiani dove si lavorava la canna da zucchero ma sopratutto il caffe'.Il lavoro era duro, dove lavorava tutto il gruppo familiare. Non sono state poche le sofferenze in un ambiente abbastanza estraneo.I primi immigrati italiani arrivarono in massa nel Brasile nel 1875. Erano contadini veneti attirati dal lavoro come piccoli coltivatori nel sud del paese.
GLI ITALIANI E IL CINEMA
L'emigrazione italiana in Brasile segna una vera e propria svolta nella storia brasiliana.Dagli esordi (Rio de Janeiro, 8 luglio 1896) alle prime decadi del Novecento la lingua ufficiale del cinema brasiliano è, soprattutto, l`italiano.A Paschoal Segreto, emigrante italiano, si deve la creazione, nel 1897, della prima sala cinematografica fissa in Brasile. Il Salão de Novidades Paris di Rio de Janeiro fu inaugurato il 31 luglio del 1897, promovendo l'interesse per l'invenzione dei fratelli Lumiére con una ricca programmazione di filmati provenienti, soprattutto, dall'Europa. I Segreto erano un gruppo di fratelli arrivati dall'Italia in momenti diversi, all'epoca della fondazione del Salão Paris erano quattro fratelli: Gaetano, Afonso e Luiz e Paschoal. Gaetano doveva essere il più vecchio, lo si può dedurre dal fatto di non avere il nome tradotto e di essere arrivato .Al napoletano Vittorio di Maio (1852-1926), tra i primi a installare sale cinematografiche, si deve una notevole opera divulgativa del cinema, avendo montato, già all'inizio del 1897 a Petrópolis (Stato di Rio de Janeiro) un proiettore all'interno del Cassino Fluminense con cui aveva mostrato brevi pellicole dei Lumière e di Edison. Dal 1908 s'affacciano al mercato cinematografico brasiliano nuovi impresari tra cui gli italiani Jácomo Roiario Staffa e José Labanca.Il picco massimo dell'emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè brasiliane negli stati di São Paulo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Minas Gerais e Espírito Santo.
Il nostro paese è stata interessata al fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo l'unita' d'Italia verso il 1880, anche il Mezzogiorno una volta piu' ricco e florido.
Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli-Venezia Giulia (16,1 per cento) ed il Piemonte (12,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali. Con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.
Essa ebbe come destinazioni soprattutto l'America del sud e gli Stati Uniti . Negli Stati Uniti e in Brasile si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Argentina ed Uruguay fu sia stabile che temporanea .
Nelle pagine faremo un viaggio nella emigrazione del Sud America per scoprire una parte della nostra storia corredata di notizie ed immagini che ci aiuteranno a scoprire il piu' grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze, un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’Unità.
La maggior parte degli italiani si trasferirono in Brasile, Argentina dove attualmente vi sono circa 55 milioni di discendenti di emigrati italiani. Quote consistenti di emigranti italiani si diressero anche in Venezuela , ma vi furono anche nutrite colonie di emigranti italiani in Cile, Peru, Messico, Paraguay, Cuba e Costa Rica ed Uruguay dove i discendenti di Italiani nel 1976 erano 1.300.000 (oltre il 40% della popolazione, per via della ridotta dimensione dello Stato.

IL PICCO MASSIMO DELLA EMIGRAZIONE 
Il picco massimo dell'emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè brasiliane negli stati di São Paulo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Minas Gerais e Espírito Santo.
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La ragione di questa particolarità risiede nella mancanza di una vera e propria classe media in un paese che solo dieci anni prima era ancora legato ad un`economia rurale e schiavista e ad un sistema politico monarchico  . Genova é stato il principale porto d'imbarco del flusso di immigranti per il Brasile, dato che i primi grandi contingenti érano oriundi dal Veneto.
Il volume del flusso emigratorio fece con che diverse compagnie di navigazione fossero create. La societá dei produttori di caffé di São Paulo come incentivo sussidiava i biglietti nel senso di motivare l'emigrazione.
La traversata atlantica era molto penosa, si riscontravano molti casi di epidemie ed incidenti come il naufragio del "Sirio" il 4/6/1906 con 219 vittime incluso il vescovo di São Paulo. Appena arrivati gli immigranti erano transferiti giá nel porto sui treni che salivano il massicio atlantico fino a São Paulo quota 700m.Da qui erano sistemati in alberghi nel centro di São Paulo, accoglieva provisoriamente gli immigranti che aspettavano lo smistamento per le fattorie di caffé all interno di tutto lo stato.Dove le famiglie vivevano nelle fattorie molte volte creando un piccolo villaggio denominato nucleo coloniale. L'obbiettivo era risparmiare per comperare la propria terra, e questo contribui' alla modernizzazione del Brasilesi creo', infatti, una agricoltura diversificata moderna e fornendo una base per assicurare lo sviluppo industriale. Altri Italiani gli italiani venivano indirizzati nel Minas Gerais o nell’Espirito Santo o, appunto, nel Rio Grande.L’insediamento più caratterizzato è quest’ultimo.governo vi aveva infatti delimitato una zona amplissima, più della Val Padana, totalmente incolta, lontana da tutto, montuosa, destinandola a loro. Vincendo la disperazione, adattandosi a fare ogni cosa, mantenendo una straordinaria coesione interna, con un tasso di prolificità incredibile (almeno una dozzina di figli per famiglia), il gruppo italiano non solo vince la sfida ma creò nell’area che gli era stata assegnata, la serra gaúcha, l’embrione di un altro Brasile, ben diverso da quello tradizionale.Quali sono state le caratteristiche di questa comunità? Innanzitutto la solidità della struttura famigliare. L’unica forza sulla quale potevano contare i coloni era la coesione della famiglia, la sua capacità lavorativa, l’energia morale che ne derivava.
L'attaccamento al sentimento religioso
La seconda caratteristica è rappresentata dall’attaccamento al sentimento religioso. Gli emigranti provenivano da regioni italiane nelle quali la Chiesa era il solo elemento di aggregazione, l’unico concreto luogo di appartenenza. La solitudine e l’abbandono in cui vennero a trovarsi nel nuovo mondo accrebbe questa religiosità, materializzatasi nelle Chiese e nelle cappelle rurali, che fungevano da luogo di preghiera e di riunione, nelle edicole costruite nella foresta, molte delle quali ancora esistenti, nelle pratiche pie, nelle orazioni in comune, nella venerazione dei santi. Ma la cronica carenza di clero favorì la crescita di una religiosità molto autonoma, guidata nei primi anni della colonizzazione da laici, che dirigevano alla domenica i momenti di culto, seppellivano i morti, consigliavano la gente. C’è chi sostiene, probabilmente non a torto, che le comunità di base a carattere laicale cresciute negli anni recenti in tutto il Brasile, debbano molto all’organizzazione religiosa delle vecchie comunità di emigranti
L'etica del lavoro
Una terza caratteristica è costituita da quella che possiamo chiamare “etica del lavoro”. Il lavoro fu la salvezza della prima generazione di coloni. Se non avessero lavorato a ritmi inimmaginabili, disboscando la foresta, costruendosi le case, prima in legno e poi in muratura, fabbricando gli strumenti essenziali, coltivando i campi e traendone il sostentamento, aprendo le strade, avviando l’indispensabile struttura commerciale di scambio, per loro ci sarebbe stata soltanto la sconfitta. E la sconfitta equivaleva a morire. Così la capacità lavorativa del Brasile italiano, se è stata all’inizio la salvezza degli emigrati, è diventata successivamente una straordinaria risorsa per il Paese, sorretta da uno spirito imprenditoriale, un’autonomia, una capacità innovativa e un senso del rischio che hanno enormemente arricchito l’economia nazionale. Si calcola che nel Rio Grande i discendenti di italiani siano oggi più di due milioni, un quinto della popolazione dello Stato. Questa comunità, inizialmente di contadini e lavoratori generici, produce ormai l’élite dell’imprenditoria locale e poi intellettuali, giornalisti, professionisti, professori d’università, politici al massimo livello. Cinque governatori dello Stato nell’ultimo cinquantennio vantano un’ascendenza italiana”.
I fazenderos senza scrupoli
Ai fazenderos il modo di lavorare degli italiani piaceva molto .Apprezzavano le abitudini della tipica famiglia italiana ed invogliavano a far arrivare dall'Italia altri gruppi familiari.
 L'emigrazione serviva per migliorare lo sviluppo .Si spiano' cosi la strada per un grande esodo .Anche se, a dire la verita', a causa di fazenderos senza scrupoli, in molti casi la manodopera degli emigranti italiani sostituì in buona parte quella prestata fin allora dalle persone usate come schiavi: in quanto bianco e cattolico l’immigrato italiano era trattato diversamente dagli schiavi di colore, anche se la qualità della vita era di poco superiore tanto che la mentalità schiavista di molti proprietari terrieri portò il governo italiano a proibire l’emigrazione in Brasile con il Decreto Prinetti del 1902 con il quale si sospendeva la licenza speciale a compagnie di navigazione per il trasporto gratuito di emigranti italiani in Brasile presso fazenderos senza scrupoli. Anche piu' tardi l'emigrazione continuo'
La saudade 
L’emigrante imparava a convivere con i sentimenti della malinconia e della nostalgia che lo attanagliava continuamente senza tregua. Rimaneva nel paese ospite solo per necessità di tipo economico, pensando continuamente al ritorno in patria, a quando ritroverà la sua famiglia, le abitudini, i sapori e gli odori della sua terra.
La decisione di emigrare, raramente era il frutto di una libera scelta, ognuno affrontava le difficoltà del lungo viaggio con la speranza che un giorno sarebbe tornato in patria.Le cose, però, con il passare degli anni cominciarono a cambiare: il nostro emigrante cominciò ad adattarsi al nuovo ambiente sociale, imparò a convivere con la diversità di usi e costumi e, cosa più importante, assimilò la lingua e le abitudini di vita e sebbene continuasse a rimpiangere il suo paese natale, non viveva più la sua condizione di emigrante in maniera negativa, ma si impegnava per consolidare e migliorare la sua condizione
I DISCENDENTI ITALIANI OGGI
Oggi, la stragrande maggioranza dei figli dei nostri emigrati in Brasile, è laureata ed occupa posti di lavoro importanti e dignitosi. L’emigrante italiano in Brasile, oggi, è pienamente brasiliano, lo è nel cuore e nell’anima. Per lui, essere brasiliano, non indica tanto l’appartenenza ad un popolo ma è qualcosa di più profondo.. è un sentimento… un modo di essere e di porsi nei confronti della vita. E’ questa, forse, la diversità maggiore che si coglie tra chi è emigrato in Brasile e chi invece si trova in tutt’altra parte del mondo. Se è vero che il concetto di emigrazione è uguale dappertutto, è altrettanto pacifico che chi è emigrato in Svizzera piuttosto che in Germania non si sente parte di quelle nazioni a differenza di chi, invece, è emigrato in Brasile ed è divenuto un tutt’uno con quella gente. Basti pensare che la circoscrizione consolare di S. Paulo il numero di quanti svolgono attività imprenditoriali (8625 persone) e il livello di scolarizzazione, sono significativamente elevati. Più di 38 mila italiani sono laureati o diplomati, mentre 23 mila hanno titoli di studio inferiori. All’interno del territorio vi sono 126 associazioni di emigrati e l’insegnamento della lingua italiana è diffuso in tutta la circoscrizione. S. Paolo conta il maggior numero di ristoranti italiani di tutto il Brasile e qui sono nate le principali testate giornalistiche come L’Emigrazione, Il Corriere Lucchese, La Voce Toscana, l’Italia del popolo e la Fanfulla, stampato per la prima volta nel 1893 e tuttora esistente. La Circoscrizione consolare di Porto Alegre coincide con lo Stato di Rio Grande do Sul, dove il flusso di emigrati italiani ebbe inizio ufficiale nel 1875, conta circa circa 3 milioni di discendenti , mentre i residenti iscritti all’anagrafe sono più di 36 mila. Di questi, 8725 svolgono libere professioni e solo 36 sono operai o impiegati. Più di 20 mila connazionali, inoltre, possiedono un diploma o la laurea. Anche le strutture di documentazione sulla presenza italiana nel territorio sono numerose e nella circoscrizione si trovano concentrate le principali Case Editrici che gestiscono iniziative italiane, come la "EST Ediçoes" di Porto Alegre, che vede pubblicati 300 libri sull’immigrazione italiana. Mancano invece informazioni accurate sulle associazioni di emigrati, mentre sono particolarmente significativi i dati sull’imprenditorialità italiana, presente nel territorio con più di 400 imprese. Fanno parte della Circoscrizione consolare di Curitiba gli Stati del Paranà e di Santa Caterina. Nel 1875 centinaia di famiglie italiane, e soprattutto venete, furono chiamate a coltivare le terre incolte di queste regioni. Ora le comunità italiane raggiungono i 4 milioni di individui, di cui 30 mila con passaporto italiano. Di questi, quasi 5 mila svolgono attività imprenditoriali o sono liberi professionisti e il tasso di scolarizzazione è molto alto. Le associazioni culturali sono 123 e quelle venete raccolgono da sole più di 3 mila soci.
Sono piuttosto scarsi, invece, gli studi sulla presenza italiana nella Circoscrizione consolare di Rio de Janeiro, che comprende gli stati di Rio de Janeiro, Espirito Santo e Bahia. Tuttavia, negli ultimi anni si sono registrate numerose iniziative e manifestazioni folkloristiche incentrate sulla riscoperta dell’italianità. Nello stato di Rio de Janeiro sono attualmente attive 29 tra associazioni italiane e circoli regionali a scopo culturale e ricreativo, cui si affiancano associazioni a finalità assistenziali, sportive e sindacali. Non esistono scuole italiane legalmente riconosciute, ma la lingua è stata inserita come materia di studio in alcuni istituti dalla quarta elementare alla terza media ed è stato siglato un accordo tra l’Università di Rio de Janeiro e il Consolato Generale d’Italia per l’insegnamento della lingua nel "Vestibular" (esame di ammissione alle Università).
La circoscrizione consolare di Recife, che comprende tutti gli Stati del "Nordeste brasiliano" è stata la più trascurata dalla letteratura sull’immigrazione. Eppure, fu proprio in queste terre che sbarcò Amerigo Vespucci durante la sua prima spedizione nelle Americhe. E il fenomeno migratorio successivo non è da sottovalutare, Gli oriundi presenti sono circa 50 mila, anche se i residenti iscritti all’anagrafe consolare, concentrati soprattutto a Recife, Fortaleza e Belèm, risultano solo 4.500. Le associazioni italiane non sono molto numerose. Tra queste, il Centro Cultural Italo Brasileiro Dante Alighieri, la Casa d’Italia e l’Istituto de Cultura Italiana de Fortaleza. Quest’ultimo, nato nel 1998 per diffondere la lingua e la cultura italiane, ha assunto un’importanza determinante nell’economia turistica del Nordest, offrendo corsi di lingua e di formazione professionale per addetti ai settori turistico e alberghiero.
Alla Circoscrizione consolare di Belo Horizonte appartengono gli Stati di Minas Gerais, Goias e Tocantins dove, a cavallo del 1800, si diressero molti operai, soprattutto dal Sud Italia, per lavorare alla fondazione e allo sviluppo della zona. L’emigrazione verso queste terre è stata caratterizzata dalla richiesta di manodopera nei settori dell’industria e del commercio, piuttosto che in agricoltura. E molti italiani trovarono impiego anche nell’edilizia, lasciando la loro impronta architettonica negli edifici dell’epoca. Ha inizio, invece, negli anni ‘70 l’emigrazione di lavoratori specializzati nel settore automobilistico, che ha fatto seguito all’arrivo a Belo Horizonte della FIAT e di altre multinazionali straniere. Per far fronte alle esigenze educative delle famiglie italiane, venne creata nello stesso periodo la "Fondazione Torino", che ora si è trasformata in un istituto bilingue e biculturale frequentato da 600 studenti ogni semestre. I discendenti dei nostri connazionali presenti nel territorio sono oggi circa 1 milione e mezzo e 9 mila quelli iscritti all’anagrafe consolare. Belo Horizonte vanta una Società Italiana di Beneficenza e Mutuo soccorso nata nel 1896 e ancora attiva, ma il fenomeno dell’associazionismo è meno sentito rispetto ad altre zone, anche se questo potrebbe significare il rapido processo di integrazione dei gruppi nazionali nella società brasiliana, piuttosto che la loro scarsa vitalità.
















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Rivolta in Brasile e rassegnazione italiana

Brasile, monta la rivolta sociale
In Brasile la rivolta sociale è un fiume in piena, che non accenna a placarsi. 50mila persone hanno attraversato ieri le strade di San Paolo, riversandosi nella centrale Praça da Sé, di fronte alla Cattedrale. Dalla scandalo corruzione del 1992, il Paese non viveva una mobilitazione così imponente.
“Queste voci della strada devono essere ascoltate. La forza della voce della strada è il senso civico del nostro popolo”- ha detto la presidente Dilma Rousseff in un discorso al Palazzo presidenziale a Brasilia all’indomani della marcia di duecentomila persone in diverse città.
“Non è per qualche centesimo, è per avere diritti”: è uno degli slogan della manifestazione di San Paolo. L’aumento dei prezzi del biglietto dei mezzi pubblici è stato il pretesto per far esplodere un più profondo malessere sociale.
“Siamo qui perché vogliamo migliorare il nostro Paese in questo momento che è cruciale, con la libertà possiamo ottenere tutto dalla vita” – dice Leonardo Mauro, uno dei tanti giovani che affolla le strade di San Paolo.
L’aumento dell’inflazione, il cattivo andamento dell’economia e la disoccupazione galoppante sono alla base delle proteste.
A fronte di risorse sempre minori per sanità e educazione, i manifestanti considerano un ingiusto spreco i fondi stanziati per la Coppa del Mondo di calcio, in programma nel 2014

Realmente anche c'è il problema della corruzione delle solite spese assurde della politica, legge anti corruzione che non passa...

Più o meno quello che accade in Italia.

Con la differenza del debito pubblico ( L'Italia è al 4° posto al mondo) e del fatto che il Brasile è meta di investimenti stranieri e ricco di materie prime. Un continente in via di sviluppo, dove la natalità è discretamente alta.
Il Brasile è un paese in via di sviluppo, l'Italia e L'Europa tutta, sono in declino inesorabile.
L' Italia nella fattispecie si è avvitata in una spirale dalla quale è difficile uscire e che vede privilegi incredibile contrapposti a salari medi molto bassi.
  • Contratti di lavoro di natura e forme anticostituzionali, chi ha troppo chi niente.
  • Salari mediamente al di sotto dell'Europa e con differenziazioni tra dirigenti e impiegati inammissibili, pari anche ad un rapporto di 100 a 1
  • Ancora contratti precari assolutamente anticostituzionali e di fame
  • Sistema pensionistico che vede contrapposte pensioni da decine di migliaia di euro a quelle di 800 o meno.
  • Sistema sanitario ancora ai primi posti al mondo ma con buone possibilità di sfascio a causa dei continui tagli e con grandi differenziazioni tra nord e sud
  • Scuola di pessima qualità e con poche speranze di ripresa sempre per i continui tagli
  • Penitenziari da terzo mondo
  • Burocrazia incredibilmente lenta
  • Giustizia assolutamente lenta agli ultimi posti al mondo
  • Disoccupazione sempre in aumento, i dati presenti sono superati giornalmente.
E' stato tradito il dettato costituzionale Art.3 "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." e Art.4 "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto."
Ci sono cittadini, ad esempio nella politica, che hanno salari dell'ordine di 10 o 16 mila euro, contro salari medi dell'ordine di 1.500/2.000 euro.
Pensioni nell'ordine di 3.000 euro al giorno che è la cifra che mediamente prende un pensionato "normale" in 6 mesi..
Cosa è accaduto?  La classe politica legifera per i propri interessi senza tenere conto del resto del paese. Si è verificata una scollatura tra questa classe dirigente (che realmente non ha le capacità di dirigere e questo si evince dalle condizioni del paese) e i lavoratori che dovrebbero mandare avanti il paese.
3637 le imprese fallite nel primo trimestre del 2013, sempre in crescita.
12.8% tasso disoccupazione, 40% tra i giovani, sempre in continua crescita.
120 suicidi nei primi mesi del 2012 di imprenditori o lavoratori in crisi economica, per quello che si conosce.
104.000 le aziende chiuse nel 2012.
27.000 quelle trasferite all'estero.
Quest'ultimo dato è il prodotto delle "politiche" dei vari governi italiani. E' la dimostrazione dell'incapacità di governare e di gestire un paese.
Questo ed altri risultati dovrebbero indurre una classe "dirigente" dignitosa a tagliarsi i compensi e ridurre il loro stesso numero sia in Parlamento che in Senato.
In una famiglia, in caso di difficoltà economiche, il capo famiglia per primo comincia a tagliare i propri vizi e spese superflue.
Da questi dati si evince l'impossibilità a crescere di questo paese, privo di materie prime e di industrie e carico di una spesa corrente che è frutto di clientele e di un'organizzazione di un paese che non esiste più e che mai potrà ritornare.
OkNotizieIl mio Segnalo







Il Brasile si ribella, una storia tutta italiana!

Che accade in Brasile? Solo per aumento di 0,20 cent di reais la gente è impazzita, sembrerebbe, che l'aumento servirà a pagare le spese sportive della coppa.
Ma non è così semplice è solo la goccia che fa traboccare il vaso, la gente è stanca di una politica corrotta, sprecona e troppo costosa, è stanca dell'inflazione, di vedersi tagliati ospedali e scuole. Di vedere troppi soldi spesi per il football ed altre amenità simili mentre vengo tagliati e disattesi i bisogni più elementari. Legge anti corruzione che non viene approvata.
Un film che qui in Italia conosciamo bene. Queste foto rappresentano le masse di lavoratori, studenti e pensionati scesi nelle strade delle maggiori città Brasiliane ,non sono foto folkloristiche del carnevale di Rio.
Riflettere, vero è che qui in Italia l'inflazione è bassa ma è pure vero che il Brasile è un continente in espansione con materie prime abbondanti e popolazione giovane. Viceversa in Italia e forse in Europa, le materie prime scarseggiano, le fabbriche preferiscono scappare, i giovani sono sempre meno, come le speranze di ripresa .


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